Senza dirsi addio
Ci sono bugie e bugie. Possono infatti avere colori e impatti diversi. Da una parte quelle nere, universalmente condannate, cioè quando si dice il falso per ottenere un vantaggio per sé. Dall’altra le bugie bianche, cioè mentire per far piacere o per non urtare la sensibilità di un’altra persona, che sono viste come una parte innocente delle interazioni quotidiane. E poi ci sono le cosiddette bugie buone, come quella che viene raccontata a uno dei personaggi principali di The Farewell, l’opera seconda di Lulu Wang che abbiamo potuto apprezzare nel corso della 14esima edizione della Festa del Cinema di Roma dove è stata presentata in anteprima italiana in attesa dell’uscita nelle sale nostrane l’1° gennaio con Bim. Uscita che, se non avete potuto assistere alle proiezioni capitoline, vi consigliamo caldamente di annotarvi sull’agenda tra le cose da fare assolutamente per iniziare con il piede giusto l’anno nuovo.
Si può mentire a fin di bene? Certamente che si e la regista e sceneggiatrice asiatica ci spiega perché e come in una pellicola che ci porta al seguito di Billi, nata in Cina e cresciuta negli Stati Uniti, che scopre che all’amata nonna Nai-Nai restano solo poche settimane di vita: in famiglia tutti lo sanno, ma hanno deciso di tenere nascosta la verità alla diretta interessata per farle vivere serenamente i suoi ultimi giorni. Così, con l’espediente di un matrimonio da celebrare in fretta e furia, tutta la famiglia – chi dall’America, chi dal Giappone – si riunisce a casa di Nai-Nai, a Changchun. Avventurandosi in un campo minato di aspettative e convenevoli famigliari, Billi scopre che ci sono molte cose da festeggiare davvero: la possibilità di riscoprire il Paese che ha lasciato da bambina, il meraviglioso spirito di sua nonna e il legame che continua a unirle.
Con The Farewell, la Wang celebra il ruolo che ognuno di noi ha nella famiglia e, insieme, il modo in cui la viviamo nel profondo, intrecciando l’ironia delle bugie in azione con il racconto toccante di ciò che in famiglia ci tiene uniti e ci rende più forti, spesso a dispetto di noi stessi. Insomma, dimenticate le reunion alla Muccino e pensate piuttosto a Il banchetto di nozze di Ang Lee, abilmente infarcito con una dose di humour intelligente che lo trasforma in una dramedy casalinga che scalda il cuore, inumidisce le guance e strappa sorrisi. Un ventaglio di emozioni aperto e offerto con grande generosità alla platea da un film che oltre a riflettere sulle dinamiche affettive e sui legami domiciliari, punta l’accento sui temi dell’elaborazione del lutto, della malattia, dell’urbanizzazione selvaggia, dell’importanza della memoria e delle differenze tra Oriente e Occidente. Il tutto affrontato con un grande rispetto e una leggerezza che si poggia come una piuma sullo schermo.
>Ironia e intensità, commedia e dramma, si mescolano senza soluzione di continuità in un’opera che ha nella scrittura e nella direzione degli attori (su tutti Shuzhen Zhao e Awkwafina, che interpretano rispettivamente i ruoli di Nai Nai e Billi) i suoi punti di forza, con una manciata abbondante di scene più o meno corali che ne mettono in evidenza l’indubbio valore: dal servizio fotografico pre-matrimoniale all’intero banchetto di nozze, passando per il confronto verbale in albergo tra Billi e lo zio. La Wang li usa per alzare e abbassare la temperatura emotiva, quel tanto da impedire alla narrazione di trasformarsi in una tragedia casalinga. E se poi vogliamo andare a trovare il pelo nell’uovo, forse l’accumulo di finali è un peccato di gola che si poteva anche evitare. Vi consigliamo però di non abbandonare la sala con i titoli di coda, perché è lì che l’autrice ha riservato alla platea un ultimo e imprevedibile colpo di scena. Vedere per credere…
Francesco Del Grosso