Myrtle “(s)veste” il villaggio di Dungatar
Presentato in Festa Mobile, una delle sezioni più interessanti di questa 33esima edizione del Torino Film Festival, The Dressmaker di Jocelyn Moorhouse non delude affatto le aspettative, merito in primis di un’eccelsa Kate Winslet.
Basato sull’omonimo romanzo di Rosalie Ham, il film racconta il ritorno a casa di Myrtle “Tilly” Dunnage e tutto ciò che questo comporta. La regista australiana ci fa calare nei luoghi (che qui non sono meri sfondi) sin dalle primissime inquadrature, è come se dall’alto guardassimo quelle distese e il pullman su cui la donna viaggia, per poi ritrovarci in quel microcosmo con lei. Sin dalla prima apparizione, Myrtle Dunnage si fa riconoscere sia alla platea di turno che agli abitanti che aveva “abbandonato” anni prima. Ai primi manda quasi dei “segnali di fumo” (e non vogliamo aggiungervi altro) dalla casa d’infanzia, in salita rispetto alle altre del villaggio; a noi, invece, si palesa subito in tutta la sua bellezza, esaltata dai costumi e dai tacchi vertiginosi, quasi cozzando rispetto al paesaggio spoglio e al mood degli abitanti. In realtà sarà proprio questa estraneità, il suo alone di mistero e di “diabolicità” che attrarrà i suoi (ex) concittadini.
La donna è tornata a Dungatar (nel sud est dell’Australia) per prendersi cura di sua madre (straordinaria Judi Davis, grazie anche alle battute sulfuree che mastica alla perfezione). La vediamo aggirarsi nella casa coi tacchi a spillo, mentre si prodiga per pulirla da cima a fondo – compresa la genitrice. In The Dressmaker si ride di gusto anche per le pillole di acidità che vengono dispensate, intrise di quel sapore grottesco che la Moorhouse ha voluto inserire nel mix di ingredienti che rendono esplosivo questo film proprio come lo è la sua protagonista.
Come spesso accade, tanto più nel genere melodramma, uno dei punti nodali consiste nell’affrontare questioni irrisolte del passato e la nostra Myrtle ne ha eccome, il problema è che ha rimosso come si sia verificato esattamente quel fatto che la costrinse a lasciare sua madre e quel villaggio. Sin da subito i cittadini di Dungatar sono diffidenti e quasi impauriti dal suo ritorno, è come se la ferita si riaprisse sia per lei che per loro. Man mano che la trama si dipana comprendiamo come lei sia stata il capro espiatorio di un evento accaduto tra bambini. Situazioni in sospeso tra adulti hanno portato alla sua espulsione e di certo non possiamo rivelarvi oltre proprio per non togliervi il gusto della visione (dovrebbe essere distribuito da Eagle Pictures ad aprile 2016).
Dalle prime scene e dalle intenzioni esplicitate dalla donna, The Dressmaker sembra virare verso il revenge movie unito ai richiami dell’ambientazione western (come non riconoscere l’omaggio allo stile di Sergio Leone), ma ci accende anche con la storia d’amore tra Myrtle e Teddy (Liam Hemsworth). Ci fa sorridere con tutti i tipi che animano questo villaggio (immaginario), su tutti il sergente Farrat (Hugo Weaving), scisso tra una doppia anima e completamente affascinato dalla grazia e dai costumi stessi che la nostra dressmaker confeziona. Lei seduce proprio con questa sua arte-arma, conquista anche le donne più pettegole e prevenute nei suoi confronti perché fa scoprire loro cosa significhi sentirsi donna e bella. Si gioca con lo stereotipo femme fatale così come con quelle figure di personaggi quasi fiabeschi (dalla maestra molto severa che bacchettava fisicamente e terrorizzava gli alunni al bello di turno, passando per la ragazza brutta perché così l’ha conciata sua madre). A esaltare i diversi cambi di registro e i toni posti in campo a livello di sceneggiatura e incarnati soprattutto dalla Winslet ci pensano rallenti, inquadrature sui dettagli e sghembe, distorsioni grottesche e uno studio molto certosino dei costumi (Janet Patterson, Marion Boyce, Margot Wilson), oltre al binomio fotografia (Donald McAlpine) e musiche (David Hirschfelder).
Il sottotitolo italiano di The Dressmaker è “Il diavolo è tornato”, ma post visione capiamo come spesso non sono gli abiti ad esplicitare la natura di una persona, forse l’unico “potere” che Myrtle ha è quello di «trasformare le persone». A tratti e con le dovute differenze rispetto alla storia diversa, quest’opera ricorda alcune sensazioni di Dogville di Lars von Trier. Prima che nascano fraintendimenti, proviamo a spiegare in che senso. Certo lì la Kidman interpretava una donna che si rifugiava in quel luogo, in fuga dai gangsters, e rappresentava totalmente la straniera; qui, invece, si tratta di una donna nata inizialmente a Dungatar, espulsa per una responsabilità attribuitale e che ora viene vista come qualcosa di (e)stran(e)o. In più, va da sé, che si tratta di toni e registi diversi, ma alcune reazione della Winslet di fronte alla cattiveria umana, sommate agli approcci degli abitanti verso di lei, ci hanno fatto tornare in mente il film del regista danese.
L’abbiamo elogiata già molto, ma non possiamo non continuare in tal senso pensando alla Winslet e a come riesca a mettersi in gioco, alla versatilità che dimostra e a come sappia indossare i panni del personaggio di turno proprio come fa in questo caso, giocando anche con la sua fisicità.
«È una commedia dark, talvolta strana, che dipinge un’affascinante relazione madre-figlia. È l’insieme di tutti questi elementi che mi ha conquistata», ha dichiarato l’attrice, perciò non perdetevi The Dressmaker appena uscirà in sala!
Maria Lucia Tangorra