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The Curse

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VOTO: 7.5

Il testamento (o la maledizione) di José Mojica Marins

José Mojica Marins altresì noto come Zé do Caixão, ovvero il suo sinistro alter ego sul grande schermo. Pioniere dell’horror in Brasile, sublime artigiano, artefice di sevizie e incubi a dir poco fantasiosi, il prolifico cineasta carioca ci ha lasciato nel febbraio del 2020 per una broncopolmonite, alla veneranda età di 83 anni. Ma sarà morto davvero? Oppure, come la vecchia strega del suo The Curse (A praga, in originale), starà continuando a lanciare maledizioni sulle persone troppo insolenti anche dall’aldilà?

Se ci permettiamo di scherzare (bonariamente) con la sua morte, è anche perché il cinema da lui realizzato oltre al gusto del macabro e a alla visionarietà della messa in scena ha sempre proposto una genuina, strisciante ironia.
Senza contare le circostanze a dir poco particolari, riguardanti la genesi e – soprattutto – la circolazione di questo suo peculiare testamento cinematografico. Le riprese della pellicola erano infatti iniziate nel lontano 1982, ma per una lunga serie di traversie il prodotto finale ha visto la luce (anzi, le tenebre), postumo, soltanto nel 2021.
Lode quindi agli organizzatori del 43° Fantafestival, che grazie alla sezione Lost & Found hanno consentito agli spettatori del Nuovo Cinema Aquila a Roma di godersi quest’ultima, straniante apparizione del già menzionato Zé do Caixão.

In The Curse l’autore del seminale A mezzanotte possiederò la tua anima (À Meia-Noite Levarei Sua Alma, 1963) e di altri titoli alquanto emblematici, vedi ad esempio O Ritual dos Sádicos (1970) o Inferno Carnal (1976), ci regala un piccolo campionario di quelle suggestioni e ossessioni autoriali che l’hanno fatto conoscere e amare da diverse generazioni di cinefili: sensualità, magia nera, metafisiche oscure, ambienti e rituali esotici, punizioni crudeli. Sì, crudeli proprio come quella cui va incontro l’esuberante protagonista di questo esuberante lungometraggio: un aitante ma sciocco e saccente fotografo brasiliano, che per essersi preso gioco di un’anziana fattucchiera finirà per trascinare in un inferno di dolore e depravazioni varie non soltanto se stesso, ma anche la propria fascinosa, innocente compagna. Davvero nessuna scusante per lui; anche perché, in uno di quei prologhi irridenti, malsani e spiazzanti che José Mojica Marins amava tanto regalare al suo pubblico, il personaggio di Zé do Caixão aveva lanciato un severo ammonimento, nei confronti suoi e di chiunque pensi di poter prendere sottogamba il soprannaturale. E le insondabili vie dell’occulto in questi casi raramente perdonano.

Stefano Coccia

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