Dietro le (s)barre
Ogni festival che si rispetti ha sempre nel programma una sorpresa in serbo o un asso nella manica da giocare per stupire il proprio pubblico. Quello scelto dalla direzione artistica del Noir in Festival per la sua 33esima edizione risponde al titolo di The City (Hair Hazot), film d’esordio di Amit Ulman, presentato nel concorso internazionale della kermesse meneghina.
Quello del regista e attore israeliano è uno di quei piccoli gioiellini che non t’aspetti, un “oggetto” audiovisivo fuori dagli schemi che con come un numero di altissima prestidigitazione è in grado di lasciare a bocca aperta lo spettatore. All’autore, che ha firmato la sceneggiatura a sei mani con Omer Havron e Omer Mor, sono sufficienti solo pochissimi secondi per catturare l’attenzione del fruitore, quelli necessari a svelare gli ingredienti base pensati e utilizzati per dare forma e sostanza a una ricetta unica nel suo genere. The City è infatti il primo musical rap ebraico nella storia della Settima Arte, il ché basterebbe a incuriosire e ad attirare a sé un potenziale fruitore. Ed è ciò che è accaduto a noi e al resto della platea presente al Cinema Arlecchino di Milano durante la proiezione della pellicola in questione. Non è la prima volta che il rap intreccia la propria strada con quella del cinema, tanti sono in effetti i film che lo hanno reso possibile tra cui 8 Mile e il più recente Casablanca Beats. Non mancano dunque opere ambientate nel mondo dell’hip-hop, ma nessuno – a meno di smentite e a quelle latitudini – aveva pensato di mescolare senza soluzione di continuità recitazione e rap al punto tale da trasformare barre e rime nei dialoghi e nelle battute dei personaggi. Ulman lo aveva già fatto sulle tavole di un palcoscenico con lo spettacolo teatrale omonimo del quale il film è l’evoluzione e l’adattamento cinematografico. Un esperimento tanto folle quanto geniale che non poteva non approdare anche sul grande schermo. C’è voluto un po’ di tempo per fare in modo che ciò accadesse, ma alla fine il progetto è andato in porto e per fortuna siamo qui a parlarne.
Non contento, Ulman ha poi approfittato di un’occasione più unica che rara per infilarci dentro un’altra sua grande passione, vale a dire quella per il poliziesco, il noir e per l’inconfondibile immaginario legato a quest’ultimo. Ecco allora materializzarsi un’opera rap stilizzata ispirata alle atmosfere notturne e cupe dei classici americani del genere prodotti negli anni Quaranta e Cinquanta, al quale l’autore ha approfittato per rendere un sentito e originale omaggio scrivendo, dirigendo e anche interpretando il ruolo del protagonista. Il suo nome è Joe, un detective cinico e amareggiato che lavora in una città corrotta e decadente, che durante una notte tempestosa viene raggiunto nel suo ufficio dall’affascinante quanto misteriosa Sarah Bennett, amica e amante di vecchia data che gli chiede di indagare sull’omicidio di sua sorella. Copione vuole che la trama a quel punto si infittisca rapidamente ed è ciò che accade con Joe che si ritrova ad affrontare la mente criminale più famosa della metropoli per fare luce sull’intricato caso.
Quindi a giudicare dal plot non manca assolutamente nulla all’appello con tutti i temi, gli stilemi e i personaggi imprescindibili del genere chiamato in causa, compresi la femme fatale e il cattivone di turno. In The City, il regista israeliano prende in consegna l’intero campionario a disposizione e con più di una licenza poetica crea una linea mistery coinvolgente seppur ampiamente codificata, che sfocia in una divertente e sorprendente maionese impazzita di citazioni, soluzioni visive e narrative che arrivano persino a trasformare dei confronti verbali in feroci battle.
Francesco Del Grosso