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Terminator Genisys

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VOTO: 7

“Papà” Arnold vs. Skynet

Non tanto la chiusura di un cerchio, quanto piuttosto l’inevitabile “evoluzione della specie”.
Dovessimo riepilogare tutti i capitoli che hanno sinora composto la saga di Terminator, giungeremmo senz’altro alla conclusione che l’unico film autenticamente proiettato verso l’olimpo cinematografico è ovviamente l’inarrivabile originale datato 1984, caricato da James Cameron di un numero così elevato di chiavi di lettura da risultare ancora oggi modernissimo. Già il sequel, Terminator 2 – Il giorno del giudizio, sempre firmato da Cameron, era una sorta di riuscita variazione sul tema con un apparato visivo addirittura moltiplicatosi in budget e bellezza; mentre gli altri due film oscillano tra l’imitazione senza troppo nerbo dei modelli che l’hanno preceduto (Terminator 3 – Le macchine ribelli, girato nel 2003 da Jonathan Mostow) oppure una ricerca di spettacolarità talmente fine a se stessa da far risultare il penultimo capitolo, Terminator Salvation di McG del 2009, assai simile ad un videogame privo di anima. In sostanza lo spirito della saga pareva perduto, affondato nella melma del nuovo cinema luna-park da nuovo millennio. L’ultimo arrivato, Terminator Genisys, in parte conferma tale tendenza, lavorando tuttavia sotto traccia per ribaltarla a proprio piacimento. Si comprende bene già dall’incipit quanto il regista Alan Taylor – uno che in carriera è passato dal piccolo, “calviniano” Palookaville (1995) al kolossal Thor: The Dark World (2013), con in mezzo tanta televisione di sostanza tipo Mad Men e I Soprano – e gli sceneggiatori Laeta Kologridis e Patrick Lussier (ex montatore per Wes Craven nonché regista in proprio, vedere il “trasversale” Drive Angry del 2011) abbiano intelligentemente “giocato” con le aspettative del pubblico di trent’anni fa e quello contemporaneo, provando a soddisfare entrambe le generazioni dei fans nonché quelle comprese tra le due. Dopo un efficace prologo su come la vittoria delle macchine di Skynet ha distrutto il mondo che conoscevamo e la reintroduzione dei personaggi di John Connor e Kyle Reese, Terminator Genisys pare seguire fedelmente l’impianto narrativo originale. John Connor manda il fido Kyle Reese nel 1984 a salvare sua madre Sarah Connor dalle grinfie del Terminator d.o.c. dell’opera primigenia. Primo brivido per i cultori dell’originale, quando rivedono la fisicità estrema dello Schwarzenegger giovane (miracoli della computer graphic…), assistendo pure al suo primo dialogo con gli umani ripreso fedelmente dal film primigenio. Lo spiazzamento e l’estasi mistica sono però di breve durata: mentre Kyle Reese veniva proiettato nel passato qualcosa nel futuro è andato storto, cambiando ogni linea temporale possibile e immaginabile. Fatto che permette agli autori di Terminator Genisys, come operato a suo tempo da Robert Zemeckis nel secondo Ritorno al futuro, di sbizzarrirsi in ogni tipo di sorpresa sia di carattere narrativo che visuale, che sarebbe ovviamente criminale svelare in questa sede. Basterebbe solo l’epico scontro iniziale tra l’Arnold di oggi e quello di ieri a giustificare il prezzo del biglietto, ma Terminator Genisys regala al proprio pubblico, giovane e meno giovane, un perfetto esempio di quello che dovrebbe rappresentare il cinema commerciale contemporaneo: massimo rispetto per ciò che è stato, stupore per le nuove frontiere non solo visive che sarà in grado di proporre. Abdicando di fronte a qualsiasi pretesa alta oppure di concentrazione su un singolo genere, il film di Alan Taylor si dimostra capace di lavorare proficuamente su un immaginario precostituito, rendendo Terminator Genisys un riuscito ibrido tra action futuribile e favola americana, innervata con tocchi da commedia – impagabile il vecchio Arnie – e sapiente melodramma. E pazienza se qualcosa, a livello di logica narrativa, si perde nei ripetuti andirivieni temporali: in tutta evidenza non è questo il primo interesse degli autori. I quali sembrano del tutto a conoscenza della massima – che ripetono ad ogni piè sospinto nel corso del film, sino a farne una sorta di morale intrinseca – che vuole il tempo presente appartenere ad ogni singolo individuo, libero di farne ciò che più gli aggrada. E siccome il tempo, come noto, può essere anche denaro è possibile affermare senza timore di smentita che, almeno relativamente a questo aspetto, Terminator Genisys abbia trovato l’auspicata quadratura del cerchio. Davvero non era facile, soprattutto alla luce dei film immediatamente precedenti; ma del resto Hollywood è sempre Hollywood, anche quando meno ce lo si aspetterebbe.

Daniele De Angelis

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