Fino all’ultimo colpo di remi
Il cinema di Declan Recks ed Eugene O’Brien, regista il primo e sceneggiatore il secondo, si affaccia periodicamente all’Irish Film Festa recando in dote sincerità e freschezza. Personaggi profondamente umani, capacità di scivolare senza particolari scossoni dai drammi più intimi a toni da commedia, riferimenti non scontati alla cultura irlandese sono un po’ il marchio di fabbrica di questa piccola factory, che fa leva il più delle volte sull’intensità e sulla naturalezza delle interpretazioni.
L’ultima apparizione al festival dei due cineasti risaliva ormai all’era pre-covid, ovvero al 2017, quando presentarono alla Casa del Cinema lo scoppiettante The Flag. Per questa edizione 2023 sono tornati alla carica con Tarrac, ed è stato davvero un bel vedere. Nel senso dell’impatto visivo del film, a questo punto potrebbe essere quasi scontato rimarcarlo, come pure per le implicazioni emotive del racconto.
Primo film parlato in gaelico, per Declan Recks, Tarrac è a tutti gli effetti un’opera cinematografica che enfatizza la specificità del territorio, senza mai scadere nel folklore. Il senso della Tradizione è pur sempre presente attraverso risvolti che si legano con grande naturalezza al carattere dei protagonisti: dal canottaggio delle Naomhòg, in primo piano sia come impatto sull’architettura diegetica che per il fascino intrinseco delle riprese in acqua, fino a quella “invenzione della tradizione” (volendo citare un classico di E. J. Hobsbawm), ben rappresentata da una cerimonia collettiva sulla scogliera ricreata fantasiosamente, nella sostanza, ma a ridosso di pietre millenarie cui studiosi e gente del posto associano comunque antiche ritualità.
Cornice a parte, come si arriva nel film a vogare? Figura centrale del racconto è l’energica Aoife, riapparsa nel Kerry nonostante un lavoro stressante in città per essere d’aiuto in casa, almeno durante la convalescenza, a suo padre Brendan, colpito da un attacco di cuore e comunque mai completamente riavutosi dalla scomparsa della moglie, evento che ha lasciato pesanti strascichi anche nel rapporto con sua figlia. Ecco, in Tarrac il riappropriarsi di Aoife della passione (molto sentita a livello famigliare e anche comunitario) per le Naomhòg e per quelle dure, faticosissime competizioni in mare, è l’elemento che porta verso un progressivo accorciarsi delle distanze, tale da ricreare armonia laddove le incomprensioni si erano sedimentate da tempo immemore. L’approccio di Declan Recks ed Eugene O’Brien, già polimorfico per la scelta di soggetti così diversi di film in film, presenta poi stratificazioni interessanti anche all’interno della singola narrazione. Da un lato abbiamo infatti una sorta di “Female Power” in azione, con Aoife spinta a ricreare rapporti con vecchie e nuove amiche per partecipare con successo a una gara, che sa tanto di riscatto esistenziale. Ma gli stessi personaggi maschili non fanno certo da tappezzeria, anzi, hanno un’intrinseca profondità e ricchezza di sfaccettature che li rende presenze molto vive. Dall’anziano papà Brendan, naturalmente, fino al giovane cugino di una delle protagoniste, la cui diversità a livello mentale si configura più come risorsa che come handicap. Si tratti poi delle bellissime scene in controluce girate in spiaggia o del calore emanato dagli interni di un pub, l’ambiente finisce per nutrire generosamente il mood della storia in sé e quello di personaggi cui interpreti come Kelly Gough, Lorcan Cranitch, Kate Nic Chonaonaigh, Kate Finegan, Rachel Feeney e Cillian Ó Gairbhí si rapportano con notevole, apprezzabilissima sensibilità.
Stefano Coccia