It’s not a men’s world
Tag (Riaru Onigokko), è uno dei tre film del geniale Sion Sono presenti in questa edizione del Torino Film Festival, nonché tra i sette da lui realizzati nel corso del 2015, se si includono il tv movie Minna! Esper Dayo!: Bangai hen Esper Miyako e iku e il segmento dell’antologico Madly, attualmente in post-produzione. Ormai più prolifico di Takashi Miike, il ritmo serrato delle sue produzioni rappresenta un’indefessa volontà di raccontare, di esporre, cambiando continuamente stile, registro e tematiche. Un’abbondanza che in Tag trova uno dei suoi apici, opera che si snoda lungo 85 minuti – pochi considerando la durata media degli altri suoi lavori – densissimi e sovrabbondanti, un vero bombardamento visivo e immaginifico che si apre con una sequenza memorabile: due bus di scolaresche in gita, improvvisamente tagliati in due da una violenta folata di vento. La giovane Mitsuko (Reina Triendl) scampa al massacro, ritrovandosi circondata da corpi tagliati a metà, in un incipit cartoonistico/splatter che apre la strada a un’opera tanto delirante quanto necessaria, nel suo essere sfaccettata e articolata.
Mitsuko fugge al “vento assassino” e giunge in una scuola, tutta al femminile, la sua scuola, che non riconosce più, così come non ricorda le proprie compagne e la sua migliore amica Aki. Nel corso della visione, ci si rende conto ben presto della (quasi) totale assenza di personaggi maschili: gli uomini che compariranno nel narrato sono poco più che avatars simbolici, esseri che vedono le donne come oggetti/pedine da controllare e manovrare a loro piacimento. Sono, ancora una volta, declama il trionfo di un Femminile dotato di forza, libertà di scelta, capacità di trasgressione e, in primis, artefice del proprio destino. Il Fato e la capacità individuale di trasformarlo è tema centrale in Tag, che trova nelle parole della studentessa Sur (“Sur sta per surreale!”, dicono di lei) l’espressione maggiormente efficace: “La vita è surreale, non lasciare che ti consumi”; Sur enuncia un altro dei concetti chiave del film, ossia la multidimensionalità del mondo in cui viviamo, l’esistenza di più livelli paralleli nei quali il singolo individuo compie gesti diversi che daranno alla sua vita una diversa direzione. Mitsuko ha due personaggi a lei speculari, è dunque una e trina al tempo stesso: in fuga dalla scuola che è divenuta un campo di battaglia, con insegnanti che uccidono le studentesse a colpi di mitragliatrice, la sua storia on the run diviene quella della sposa 25enne Keiko (Mariko Shinoda), anch’ella fuggitiva da una macabra cerimonia nuziale, e la sua corsa si trasforma in quella di della maratoneta Izumi (Erina Mano), in una competizione atletica che è, per l’appunto, surreale, costellata da mostri e nemici. La giovane studentessa protagonista è personaggio-simbolo per eccellenza, una sorta di Alice in una Wonderland orrorifica e sanguinaria: ogni character rappresenta una tipologia femminile standardizzata, dalle studentesse in divisa, con le gonne maliziosamente sollevate dal vento, alla donna/atleta che corre per sopravvivere, passando per la sposa imprigionata in un rituale nuziale da incubo.
Diversi stereotipi femminili, visivamente conformi a come vengono visti dagli uomini in una società che è tradizionalmente maschile, in cui il movimento femminista ha avuto- e ha tuttora – un peso assai debole. Sion Sono gioca abilmente con la tecnica del rovesciamento: i ruoli femminei preordinati, così come sono visti dalla controparte maschile, escono dai propri involucri e diventano persone, non personaggi; esseri pensanti, coraggiosi e indomiti, disposti a tutto pur di sfuggire al predominio di un contesto dominato dal sesso opposto. In Tag, c’è molta, moltissima carne al fuoco, condensata in meno di un’ora e mezza: Sono spazia dal coming of age, prendendo in mano l’archetipo della fanciulla che diventa donna a tutti gli effetti e la confusione sessuale tipica degli adolescenti (l’amicizia tra Mitsuko e Aki viene vista come ambigua dalle compagne di scuola), passando per un sistema scolastico che diviene, letteralmente, letale, fino a giungere alla figura della sposa, dunque donna in funzione dell’uomo, che davanti all’orrore di ciò che l’attende, non può fare altro che fuggire.
Il twist finale può lasciare inizialmente perplessi ma, nel contesto generale, è perfettamente funzionale a tutto ciò che si è visto a partire dall’inizio del film, portando alla quadratura del cerchio, motivando a rigor di logica.
Il cineasta dirige con la consueta maestria, saltando da un mondo all’altro, con effetti speciali volutamente naif e una soundtrack post-rock a cura della band nippnica Mono. Tag è uscito in patria nello scorso mese di Luglio, non riscuotendo grande successo, restando quindi oggetto per lo più incompreso, rivalutato al di fuori dei propri confini: si è portato a casa due premi – miglior film e migliore attrice – al Fantasia Film Festival di Montréal, e sta raccogliendo consensi qui in terra torinese, in un Festival che è legato a doppio filo a un regista ormai amatissimo in Italia. Tag è tratto da un romanzo di Yusuke Yamada, pubblicato nel 2001, dal quale sono state adattate una serie di pellicole sostanzialmente diverse da quella di Sono, sia per impronta narrativa che, ovviamente, a livello qualitativo.
Un film che è sogno, incubo, paradosso e iperbole e che rappresenta il vessillo di un femminismo entusiasmante, capace di rompere gli schemi con la stessa forza del vento che uccide e travolge nell’incipit. Da non perdere.
Chiara Pani