Nel limbo
I miracoli esistono? Nel caso del cortometraggio diretto da Matteo Branciamore dal titolo Sveglia poco ci manca. Chi conosce tempistiche e modus operandi che hanno scandito e caratterizzato la lavorazione lampo della produzione breve firmata dall’attore capitolino, presentata in anteprima nel fuori concorso della 17esima edizione del Sa.Fi.Ter., sa quale tour de force l’autore ha dovuto affrontare per portarla a termine. In sole cinque ore, con una serie di ostacoli logistici e un cast a disposizione per un tempo limitato, Branciamore ha saputo dare forma e sostanza a un prodotto audiovisivo di tutto rispetto, nato inizialmente per il web e diventato poi uno short da tenere sottocchio.
Girato sul palcoscenico del Teatro Roma, a poche ore dall’apertura del sipario e nel mezzo delle scene realizzate per lo spettacolo di Stefano Reali, “L’operazione”, dal quale lo stesso regista aveva già tratto un adattamento per il grande schermo nel 1997 battezzato In barca a vela contromano, il corto di Branciamore ne prende in prestito solo la location per mettere in quadro una storia del tutto inedita e indipendente, scritta a quattro mani con Michele Di Vito. Sveglia ci catapulta al seguito di un uomo di nome Ezio che si risveglia in un luogo che sembra una stanza di ospedale quando invece scopriremo che è tutt’altro, ossia l’aldilà. La domanda nasce spontanea: e se anche lì il malcapitato di turno dovesse fare i conti con gli stessi problemi burocratici che ci sono nella pubblica amministrazione del nostro Paese? Alla visione la risposta, ma non ci vuole tanto a immaginare a quale disavventure andrà incontro e con quali bizzarri compagni di stanza avrà a che fare.
Il risultato è una dramedy surreale condita con un pungente humour nero che pervade l’intero impianto dialogico. Il botta e risposta tra i personaggi chiamati in causa permette a un racconto scarnificato ma efficace di diramarsi sulla timeline. Merito del lavoro in macchina del regista e della sua troupe ridotta, ma in primis del montaggio di Michelangelo Di Pierro, capace di dare compattezza e donare alla narrazione un ritmo assolutamente godibile. Dal canto suo, il regista con una sequela di mirati campi controcampi, seppur semplici e obbligati tecnicamente, riesce a cancellare l’architettura meta-teatrale a favore di un “ring” pugilistico dove i personaggi se le danno di santa ragione anche se immobili dall’inizio alla fine nella stessa posizione. E qui il contributo alla causa del quartetto chiamato a raccolta (Mimmo Ruggiero, Andrea Venditti, Antonio Catania e Maurizio Mattioli) è stato fondamentale. Non poteva essere diversamente per un cortometraggio basato in gran parte su un fitto scambio di battute, che mostra un solo cedimento in prossimità del foto-finish per via di un epilogo un po’ troppo frettoloso.
Branciamore fa di necessità virtù, ma ciò non costituisce per gli autori dello script un ostacolo insormontabile. Al contrario, con pochissimi colpi nel caricatore riesce a sfruttare al massimo e al meglio la topografia e i minuti a sua disposizione. L’unità spazio-temporale tipica del kammerspiel vecchia scuola, anche se frutto di una soluzione innumerevoli volte sfruttata sul grande schermo, a conti fatti qui risulta funzionale e non forzata.
Francesco Del Grosso