Cinepanettone in versione discount
Lo confessiamo senza alcuna remora: ci siamo accostati a questo Super Vacanze di Natale nella remota speranza di comprendere qualcosa in più sul nostro cinema e sui gusti del pubblico, il quale da ben trentacinque anni accorre in massa ad affollare le sale per il classico Cinepanettone, recentemente suddivisosi in più rivoli soprattutto a seguito della separazione artistica tra Christian De Sica e Massimo Boldi. Al netto del prevedibile ricavo economico per un film a costo quasi zero – Super Vacanze di Natale è stato realizzato cucendo assieme sequenze delle annuali produzione targate De Laurentiis – ci intrigava capire se fosse presente un filo logico in tale lavoro, una presunta “intelligenza” in grado di portare alla luce i motivi del successo di tali prodotti cinematografici. La scelta di Paolo Ruffini, indicato come regista dell’operazione, ha leggermente raffreddato i già non eccessivi entusiasmi di partenza in quanto uomo d’apparato, diciamo così, piuttosto che lucido osservatore esterno di quello che è da considerare a tutti gli effetti un vero e proprio fenomeno cinematografico tutto nostrano. Il risultato finale è che Super Vacanze di Natale può essere a tutti gli effetti considerato un film di smontaggio piuttosto che di montaggio. Un’operazione alla Frankenstein che intende vezzeggiare il proprio pubblico di riferimento senza mai tentare anche un solo momento di analisi sul perché questo tipo di pellicole abbiano riscosso così tanto successo. Lo hanno fatto e basta. Si deve solamente prendere atto di ciò. Le didascalie presenti all’inizio ed alla fine del “reperto” – definiamolo così – sono perfettamente esplicative in tal senso. Il cinepanettone è un genere popolare detestato dalla critica e amato follemente dal pubblico. Alla fatidica domanda “Perché?” Paolo Ruffini si guarda bene dal rispondere. Così è se vi pare. E chi non capisce peggio per lui.
Il viaggio parte sulle note di “Moonlight Shadow” di Mike Oldfield e arriva sui ritmi di tanto pop nostrano, quasi a simbolizzare un progressivo livellamento verso il basso pure di questa tipologia di film. Per il resto, a parte un incipit in stile “come eravamo” che provoca qualche emozione nel vedere il grande Alberto Sordi ancora in vita e giovanissimi come Claudio Amendola farsi le ossa nella commedia tricolore, Ruffini procede poi per blocchi di tematiche. Non facendosi mancare nulla delle varie spezie che hanno insaporito il prodotto nel corso del tempo. Allora è cosa ovvia l’abbondanza di una comicità a livello primario, con libero dosaggio di scurrilità assortite e corpi femminili da mera esposizione, con le varie bellezze del momento storico riprese anche nelle rispettive nudità – Megan Gale sotto la doccia – in palese body double. A distanza di decenni desta stupore come si sia potuto ridere dei tormentoni linguistici degli Ezio Greggio o Jerry Calà di turno, passati senza filtro dal piccolo al grande schermo. Poi i presunti colpi di scena con le varie pochade sessuali scaturite da relazioni in apparenza impossibili ed invece perfettamente aderenti ad una realtà in cerca solo di identificazione da parte dello spettatore; partecipazioni speciali di attori hollywoodiani in ben remunerata trasferta produttiva italiana. E, in un crescendo rossiniano (o ruffiniano, che dir si voglia…) defecazioni impreviste, finte sodomizzazioni da antologia tra Boldi e De Sica e tutto quello che il pubblico si aspetta ci sia in lungometraggi del genere. Con i soli Lillo a Greg, autentici “corpi estranei” nell’ambito del cinepanettone, a tentare qualcosa di innovativo.
Peccato allora che in Super Vacanze di Natale sia tutto già visto e rimasticato, nel senso letterale dei due verbi: Natale è passato prima ancora di arrivare e la triste notte di un cinema italiano del tutto incapace di mettersi in discussione, o almeno prendersi sanamente in giro, è sempre più buia.
Auguri a tutti.
Daniele De Angelis