Down to the river
Storie di disperazione e desolazione quelle raccontate dal giovane filmmaker cinese Jiazuo Na nel suo lungometraggio d’esordio Gaey Wa’r (il titolo internazionale è Streetwise), presentato al Festival di Cannes 2021 nella sezione Un Certain Regard. La desolazione rappresentata da quel del processo di inurbamento massiccio che ha radicalmente trasformato la Cina, creando grandi metropoli e svuotando le campagne e i piccoli centri, come quello dove è ambientato il film, Zhenwu, nella provincia dello Sichuan, nell’anno 2004. «Una volta questa strada era piena di gente», ricorda con nostalgia la fidanzata del protagonista.
Gaey Wa’r è incentrato sulla figura di Dongzi, un ragazzo che si affilia in una piccola gang, svolgendo il compito di riscossore di crediti, per poter mantenere le cure ospedaliere del padre, che ha solo lui dopo la morte della madre avvenuta anni prima. La sua relazione con Jiu’er, una ragazza che gestisce uno studio di tatuaggi, è ostacolata essendo lei la ex del boss. Pianificheranno di scappare da quel mondo asfissiante, con destinazione il vicino Hunan, la provincia di Mao Zedong, la cui effige è rappresentata nel ciondolo che si vede appeso a uno specchietto retrovisore. Ma la fuga è impedita dal dovere del ragazzo di stare vicino al padre.
Una storia claustrofobica, un’energia giovanile frustrata, un’ansia di ribellione imprigionata che Jiazuo Na costruisce in una tensione, anche fotografica, tra il degrado urbano e un idilliaco mondo naturale che esprime vari elementi della tradizione cinese. Il regista, con il suo direttore della fotografia Jianeng Li, fa uso spesso di dettagli di strade o marciapiedi, con sporcizia, rifiuti, pozzanghere, pedine del gioco del Mah Jong rotte, scarafaggi, rappresentando il caos cittadino, il disordine urbano che è anche quello delle vite dei personaggi. La relazione tra un uomo e una donna è per esempio rappresentata dall’amico e collega di Dongzi con una metafora degna di Woody Allen: un intruglio di birra, tè, spezie piccanti, salsa di soia e aceto, come un qualcosa che comprende il tutto ma di sapore amaro e sgradevole. L’inquietudine urbana è anche nella violenza delle strade. La piccola criminalità è perfettamente tollerata, assimilata nelle sue attività come le intimidazioni per i recuperi crediti, non considerate nemmeno illegali. Ma le risse, i combattimenti, sono sempre mostrati con distacco, con raffreddamento, con inquadrature fisse da lontano, da una finestra, o dal parabrezza di un’automobile. Come se Jiazuo Na non voglia quell’attenzione per l’azione tipica di un film di genere.
La decadenza dell’ambiente urbano sta anche in quella palma spelacchiata che dovrebbe far parte del verde cittadino, racchiusa e imprigionata in un grande vaso, come imprigionate sono le vite dei protagonisti. Un’immagine che tornerà nel finale magico, come albero di una barca sospesa tra le nuvole. La natura è preponderante nel prologo, cronologicamente successivo alle vicende del film, che si svolge ancora su una barca, su un fiume nelle cui acque Dongzi scarica le ceneri dei genitori, da quell’urna che si porta appresso in buona parte del film. Qui siamo in una località diversa, a Fengjie, luogo fluviale bagnato anche dallo Yangtze, il Fiume Azzurro che con il Fiume Giallo rappresenta la culla della civiltà cinese. Siamo nei paraggi di quell’immensa diga delle Tre Gole, di cui si parla nel film Still Life di Jia Zhangke. La prima immagine di Gaey Wa’r è proprio il pelo dell’acqua fluviale, che nella cultura orientale significa il corso della vita, che scorre in una sola direzione. Nel film compaiono altre metafore: l’aquilone indicatore dell’anelito di libertà dei protagonisti; la lumaca, elogio della lentezza contro la frenesia della vita moderna; e poi il fumo delle ciminiere, come le nuvole qualcosa di imprevedibile, senza forma, come la vita. Il fumo che è un’altra immagine che fa parte della sensibilità orientale, si pensi anche a come l’ha usata Yasujiro Ozu. Gaey Wa’r descrive un contesto sociale elevandosi a un livello esistenziale, raccontando le parabole di anime inquiete.
Giampiero Raganelli