Poetico omaggio alla vita del famoso regista argentino
Fernando Birri è stato un artista come pochi. Ha inseguito l’arte in molte sue forme, dal mestiere dei burattini alla recitazione, dalla poesia alla sua indomita passione per la regia e la tecnica cinematografica.
In questo documentario del 2017, dal titolo appunto Storia probabile di un angelo: Fernando Birri, una sorta di testamento spirituale visto che il maestro è venuto a mancare pochi mesi dopo le riprese, si ripercorre quasi un secolo di vita di uno dei maggiori cineasti sudamericani.
Nella sua casa di Roma, la città che, come egli spiega, lo ha adottato dopo la sua fuga negli anni ’60 a causa del colpo di stato militare in patria, Birri si racconta con garbo e umiltà, partendo dalle sue modeste origini, nipote di immigrati italiani originari del Friuli. E’ una lunga conversazione con un personaggio immaginario, creato dalla penna dell’amico Garcia Marquez, cioè un vecchio angelo con cui discorrere del senso della vita e delle tante vicissitudini del passato.
Nato a Santa Fe, in Argentina, nel 1925, è ancora ragazzo quando si interessa di arti visisive e recitazione all’università. Grazie a frammenti dei suoi molti film, e di passate interviste, lo vediamo avvicinarsi alla grande scuola del neorealismo italiano e giungere in Italia una prima volta negli anni ’50, frequentando il Centro sperimentale di cinematografia. Nonostante la sua vocazione di cittadino del mondo, Birri sente un attaccamento viscerale con la propria terra d’origine, qualcosa che lo spinge a tornare e a fondare l'”Instituto de Cinematografía de la Universidad Nacional del Litoral”, a Santa Fe. Sono anni in cui, come ci racconta, il suo desiderio di sperimentare lo conduce a firmare alcuni film come La verdadera historia de la primera fundación de Buenos Aires (una pellicola il cui titolo è in realtà lunghissimo, tanto da detenere un piccolo record) e che in poco più di quaranta minuti narra della fondazione della capitale argentina analizzando le numerose figure di un affresco. Attentissimo alle tematiche sociali, cerca nei volti dei meno fortunati, del popolo dimenticato e dei bambini (“non ho mai smesso di essere i bambini” sorride dietro la folta barba) la vera anima ed essenza del Sudamerica in generale. Non può non ricordare come Los inundados, del 1961, benché fosse stato premiato l’anno successivo come migliore opera prima alla Mostra del cinema di Venezia, viene praticamente censurato dal potere del generale Juan Carlos Onganía. Non viene neanche informato della vittoria e, ricorda, il Leone d’oro gli è recapitato clandestinamente solo anni dopo, avvolto in una carta di giornale. Vista la grave situazione politica, è il momento, con grande sofferenza, di abbandonare definitivamente il suo paese. Tornato in Italia, è qui che può superare il trauma, capire come un uomo, anche quando gli vengono recise le radici, può riuscire a trovare nuovi stimoli e nuovi impulsi vitali sebbene lontano da casa. Senza mai dimenticare l’Argentina, dunque, negli anni ’80 trova a Cuba l’occasione per fondare la “Escuela Internacional de Cine y Televisión de San Antonio de los Baños”. Sono molto interessanti i documenti d’archivio che lo mostrano, fiero, costruire da zero la struttura della scuola, partecipare personalmente al cantiere e, infine, presentare a Fidel Castro l’istituto. Lo dirigerà fino al 1991 e nella sua casa museo, allestita nella capitale dello stato caraibico, vediamo ancora conservati intatti cimeli, sceneggiature, foto di Che Guevara. Al famoso comandante dedica nel 1997 uno dei suoi ultimi lavori Che: muerte de la utopia?. Ma è soprattutto dalle immagini di Un señor muy viejo con unas alas enormes, il film che porta sullo schermo l’omonimo racconto di Gabriel Garcia Marquez, che si dipana il filo conduttore del documentario, creando un lungo parallelismo con la vita di Birri. Non a caso, quando senza nessun timore egli ricorda che la morte è ormai prossima, le sue serene riflessioni sulla fine dell’esistenza vengono ottimamente accompagnate dalla famosa scena in cui l’angelo spicca il volo, felice, librandosi sopra le case e lasciandosi indietro il mondo.
Questo poetico, complesso dialogo con il regista argentino è stato realizzato da Domenico Lucchini e Paolo Taggi, entrambi studiosi di cinema. Lucchini in particolare, sebbene sia nato a Novara, è oggi direttore del Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive di Lugano. Taggi invece è ticinese, nato a Locarno e fa parte oggi della direzione scientifica del Conservatorio Internazionale di Scienze Audiovisive, ancora a Lugano. Il loro è indubbiamente un lavoro di grandi appassionati, capaci di emozionare con un’opera che sa cogliere e omaggiare alla perfezione i fermenti creativi, le emozioni e il messaggio ultimo del maestro di Santa Fe. Sebbene a tratti manchi un filo conduttore coerente, e la narrazione possa essere caotica o frammentata, è forse il modo migliore per restituirci un ragionamento sulla vita che necessariamente deve fare a meno di un copione. E’ il modo di costruire una poesia e, come dice lo stesso Fernando Birri in uno dei passaggi più emozionanti, la vita stessa è in effetti una poesia, tanto a un certo punto da renderci impossibile distinguere dove finisce l’una e inizia l’altra.
Massimo Brigandì