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Southpaw – L’ultima sfida

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VOTO: 7

Jake lo scatenato

Con il passare degli anni il filone pugilistico è divenuto a Hollywood una sorta di “bene rifugio” da incassi pressoché certi. La ragione è facile da spiegarsi: exploit autoriali a parte (Toro scatenato di Martin Scorsese e Alì di Michal Mann, per citare titoli non troppo in là nel passato), le storie del suddetto sottogenere presentano quasi sempre il medesimo sviluppo, cioè gloria, improvvisa caduta e lento riscatto. Il classico American Dream, insomma, che ad un certo punto si trasforma in incubo ma che, in ossequio a quella sempre fertile terra delle opportunità come spesso viene rappresentata l’America cinematografica da Hollywood, alla fine premia costantemente la capacità di persistenza. Tali pellicole, in sostanza, contano molto sull’empatia che suscita il personaggio principale, con conseguenti alte possibilità di immedesimazione da parte di un pubblico transgenere e universale. Osservato sotto questa chiave Southpaw – L’ultima sfida di Antoine Fuqua si avvicina molto al mitico Rocky primigenio di John Avildsen, accentuandone gli accenti drammatici e cercando di limitarne la grancassa retorica, che peraltro nel classico in questione era così ben esibita da risultare persino spontanea.
Dando un’occhiata allo script di Kurt Sutter – uno che si è fatto un nome con serie televisive per “uomini veri” quali The Shields – ci si accorge immediatamente di come sia popolato di ogni cliché possibile e immaginabile del sottogenere di riferimento, ma pure della bontà di un lavoro che prevede la loro collocazione nei punti più giusti, alla stregua di un puzzle inventato da altri ma che comunque è necessario comporre nel modo corretto. Billy Hope (Jake Gyllenhaal), giovane pugile dal passato burrascoso e cresciuto in orfanotrofio, è l’acclamato campione del mondo dei pesi mediomassimi a sigle unificate. Una personalità impulsiva che sua moglie (Rachel McAdams) tiene a bada come solo le donne innamorate riescono a fare. Un tanto casuale quanto tragico evento riporta Billy al punto di partenza, con in più una figlia da mantenere. La strada verso la redenzione passerà attraverso nuovi e significativi rapporti umani, nella migliore tradizione del vecchio cinema di una volta.
Fuqua – anche produttore – vorrebbe consacrarsi, attraverso Southpaw (in gergo pugile mancino), uomo di cinema tout court mediante un film che spazia dal melodramma impegnato al noir più cupo; tuttavia il tocco resta greve e assai poco raffinato nelle parentesi intimistiche, esaltandosi al contrario nelle sequenze dei combattimenti. Del resto la sua specializzazione ormai assodata è proprio quella, cioè l’essere alfiere di un cinema improntato ad un purissimo dinamismo. Buon per lui che abbia potuto contare su un Jake Gyllenhaal al top della forma, motivatissimo nel calarsi in un ruolo che – prevedibile candidatura agli Oscar a parte – potrebbe dare il definitivo impulso ad una carriera da divo assoluto. Sospeso tra amore infinito per moglie e figlia e scatti di rabbia incontrollabili verso un mondo a lui estraneo e perciò nemico, il personaggio di Billy Hope (cognome che è tutto un programma, perfettamente in linea con le premesse del film) ottiene una resa quasi perfetta sullo schermo proprio per merito di Gyllenhaal, bravissimo a fornire realismo a credibilità ad un personaggio molto (troppo?) tendente allo stereotipo. E se il film soffre di qualche cambio di ritmo non esattamente graduale, l’insieme trova comunque un discreto compimento nella buona descrizione ambientale, sia delle scintillanti ma false luci dello star system che in quelle assai fioche di un ghetto sia fisico che morale, dove si può morire – fuori campo – in giovanissima età anche solo per il coraggio di una qualsiasi scelta.
Southpaw – L’ultima sfida, tirando le somme, è un lungometraggio che riesce, non senza effettuare percorsi contorti e assieme prevedibili, a coniugare in modo abbastanza compiuto spettacolo in confezione extra lusso ad un abbozzo di messaggio basico, scaltro ma efficace, in cui una seconda chance è sempre a disposizione di ognuno, nella vita. Solo che nel cinema è un po’ più facile afferrarla…

Daniele De Angelis

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