Vittima o carnefice?
Se soltanto pochi mesi fa lungometraggi come La bella e le bestie del tunisino Khaled Walid Bersaoui o il pakistano Cosa dirà la gente di Iram Haq ci hanno mostrato la difficile condizione delle donne nel Medioriente, ecco arrivare in sala – direttamente dal Marocco – Sofia, per la regia di Meryem Benm’Barek-Aloisi, in cui, attraverso una storia tanto cruda e realistica quanto fortemente paradossale, viene messo in scena un importante aspetto riguardante la vita della donna nel Marocco dei giorni nostri.
Quanto conta l’opinione della gente? In che modo una ragazza madre può sentirsi tutelata? Quali innocenti azioni possono, di fatto, far sì che la gente rischi anni e anni di carcere? Sono questi gli interrogativi sollevati dalla presente opera di Meryem Benm’Barek-Aloisi, la quale ci racconta per immagini le vicende di Sofia, una ragazza poco più che ventenne, la quale, durante un pranzo con i parenti, accusa forti dolori allo stomaco, per poi scoprire, grazie a sua cugina Lena, di essere incinta e di stare per partorire, avendo vissuto una gravidanza quasi asintomatica. Dopo aver dato alla luce una bambina, la ragazza dovrà far sì che il padre riconosca la neonata, al fine di non rovinare la reputazione della sua famiglia, proprio nel momento in cui suo padre sta per avviare una società insieme a un amico.
Il cinema mediorientale, si sa, è da sempre in grado di regalarci ottimi prodotti grazie a storie di grande impatto emotivo – e spesso ai limiti del paradossale – con quel tocco in più che, grazie a una regia che molto prende spunto dal nostro stesso Neorealismo, fa sì che ognuno di noi senta vicino e tangibile tutto quello che viene messo in scena. Così è anche, dunque, per il presente Sofia, all’interno del quale, però, c’è improvvisamente un più che riuscito snodo narrativo in grado di ribaltare ogni nostra precedente convinzione.
Se, infatti, il dramma della giovane Sofia ci fa entrare in una sorta di loop spazio temporale, in cui l’ottusità e l’omertà fanno da sovrane assolute (in maniera assai analoga al sopracitato La bella e le bestie), ben presto ci rendiamo conto che ciò che qui si vuol mettere in scena non è (soltanto) il dramma della giovane ragazza madre, bensì la trasformazione della stessa nella duplice veste di vittima e carnefice. Ed ecco che, da potenziale vittima sacrificale come ci viene presentata, Sofia improvvisamente – e dopo non poche profetiche avvisaglie – cambia, facendo in modo che lo spettatore resti basito quanto basta. Ma, a ben guardare, è vittima e carnefice o solamente vittima? Le possibilità di dibattito e di lettura in merito si fanno molteplici. E, di fatto, è proprio questa l’intenzione iniziale dell’autrice, la quale, a ben guardare, su tutti mette un unico grande colpevole: la società.
Una storia, questa di Sofia, che fa male e colpisce come un pugno allo stomaco. Merito di uno script e di una regia di ferro, così come di un’interprete come Maha Alemi (nel ruolo della protagonista, appunto) in grado di cambiare registro con una naturalezza disarmante e con un volto che difficilmente verrà dimenticato. Persino nell’ambito del panorama cinematografico internazionale.
Marina Pavido