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Slender Man

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VOTO: 5

Qualcuno, nel bosco

Situazione tipica del genere: quattro adolescenti, compagne di scuola ed inseparabili amiche, si riuniscono nottetempo per approfondire la leggenda “internettiana” di un essere misterioso e filiforme, presunto responsabile della sparizione di molti altri coetanei. Ovviamente mal gliene incoglierà, come da tradizione.
Sin da questi succinti cenni alla sinossi di Slender Man, appare chiaro come il maggior difetto del lungometraggio in questione sia la prevedibilità narrativa. Va bene rifugiarsi nel solito ritornello del lungometraggio horror destinato alle nuove generazioni, quelle con meno cinema nel background e perciò dallo sguardo ancora “vergine” su determinate tematiche. E tuttavia l’odore di stantio è ben percettibile. Come possono infatti confermare coloro che hanno qualche annetto sulle spalle con conseguenti esperienze cinematografiche in consistente numero nel campo, un’opera di questo tipo non crea la minima tensione, non possedendo alcuna originalità nella trama e tantomeno qualcosa di lontanamente distinguibile dalla massa dilagante degli horror giovanilistici nello stile. Il regista francese Sylvain White – attivo negli States: nel suo curriculum un piacevole action ironico e tamarro come The Losers (2010), seguito da tanta televisione – infatti ricorre spesso ad effetti ottici piuttosto abusati e persino dozzinali, allo scopo di rappresentare visivamente l’influenza mentale del bau-bau del titolo nei confronti delle quattro ragazze. Quindi nulla di particolarmente memorabile alla voce formale.
Tutto da buttare allora, come paradossalmente decretato da quello stesso popolo del web (con una media bassissima su imdb assegnata al film) artefice della storia creepypasta – così definita proprio perché appunto nata e veicolata sul web – che è all’origine del lungometraggio stesso? Non esattamente. Perché Slender Man qualche buona idea di fondo, o per meglio dire di sfondo, la conterrebbe anche. Innanzitutto la solitudine adolescenziale è qui mostrata in tutta la sua negatività. Adulti con cui confidarsi, ai quali chiedere consiglio in situazioni disperate, non ne esistono. Una frattura generazionale pressoché irreversibile da buon teeen-movie che si rispetti.. L’ultima, molto presunta, ancora di salvezza si chiama tecnologia; cioè quegli stessi personal computer, smartphone e ammennicoli vari che però costituiscono anche, in prevalenza, una fonte di diffusione delle paurose storie con fondo di verità. Un’ambivalenza dai toni ambigui che Slender Man sottolinea saggiamente tra le righe di un racconto al contrario molto, troppo, stereotipato nel proprio nucleo. Altro punto a favore del film è una certa qual atmosfera di palpabile angoscia innestata dalla spettrale visione dei boschi in cui il “mostro” dovrebbe risiedere prima di palesarsi. Climax che viene puntualmente sciupato non appena, come ovvio, lo slender man del titolo comincia a prendere forma concreta in altri luoghi. Anche il talento delle giovani interpreti – citiamo almeno, una per tutte, l’ottima Julia Goldani Telles vista nel premiato serial televisivo The Affair, dove impersona la figlia maggiore del personaggio principale – è innegabile, ognuna delle quali impegnata a fornire caratteristiche di verosimiglianza ai rispettivi personaggi.
Resta purtroppo questa forte sensazione di déjà vu, con riferimenti sparsi in modo piuttosto insensato di classici come ad esempio la saga Candyman, nel rapporto di repulsione/attrazione, pur “asessuata”, nei confronti del mostro; oppure fenomeni da botteghino come The Blair Witch Project (1999) riguardo l’ambientazione, a zavorrare il tutto verso i territori di una mediocrità non certo classificabile come aurea. Per il nuovo It Follows, inteso come minuzioso studio antropologico su una generazione in pericolo ed assieme eclatante lezione di stile cinematografico, bisognerà ancora pazientare.

Daniele De Angelis

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