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Skiptrace – Missione Hong Kong

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VOTO: 5

Non c’è duo, senza plot

Nessuna sorpresa, se un’idea (cinematografica) nata già vecchia si rivela poi in concreto un prodotto perdente sotto tutti i punti vista. Affiancare dunque il divo hongkonghese, ormai in chiaro sentore di ebollizione, Jackie Chan all’americano Johnny Knoxville, popolare in patria per la saga televisiva di Jackass ma quasi del tutto sconosciuto qui da noi, per rinverdire i fasti del buddy movie d’azione imbastendo una produzione ad ampio respiro internazionale non ha affatto prodotto gli esiti sperati. Questo per un semplicissimo motivo: ci si è “dimenticati” di scrivere una sceneggiatura degna di questo nome da mettere in mano al finnico Renny Harlin, un altro che da parte sua ha cominciato da tempo a dare segni di cedimento, perlomeno rispetto ai suoi giorni migliori. Involontaria vittima di questa sorta di visita guidata ad un “cimitero degli elefanti” assai poco attraente è proprio lo spettatore di Skiptrace – Missione Hong Kong, costretto a sorbirsi ben centosette minuti di insensato girovagare per il globo al seguito della coppia di protagonisti, ad inseguire non si sa cosa per non chiari motivi. C’è una ragazza in pericolo, la bella Bingbing Fan, alla quale il detective Bennie Chan (lo stesso Jackie Chan, complimenti per la fantasia nella scelta dei nomi…) deve la protezione giurata al padre, suo collega, prima di perire (?) in azione. Nella caccia al potente boss che minaccia la fanciulla si inserisce inopinatamente un truffatore da pochi soldi, tale Connor Watts (Knoxville), il quale farà da spalla a Chan nell’insensato tour turistico tra pallottole sibilanti, risse in salsa orientale viste almeno un milione di volte e pericoli assortiti messi in sequenza da uno script – volete i nomi dei colpevoli da inserire in una simbolica “lista nera”? Sarebbero tali Jay Longino e BenDavid Grabinski, praticamente novizi della materia. Si direbbe cosa chiaramente visibile… – del tutto privo del benché minimo sindacale in fatto di costruzione narrativa. Logico effetto collaterale, un’invincibile sensazione di noia da stordimento per l’interminabile teoria di clip messi in fila da Harlin ed una serie di schermaglie tra i due protagonisti che aspirerebbero ad essere divertenti ma risultano solo stantie. E per una battuta azzeccata profferita dal loquacissimo personaggio interpretato da Knoxville (definire un altro personaggio chiave del film somigliante al bambino di Jerry Maguire!) ce sono almeno un centinaio che vanno completamente fuori bersaglio, tanto da risultare persino antipatiche.
Potendo comunque contare su un comparto action dignitoso dal punto di vista registico – dovuto all’indubbio mestiere di Harlin in materia, tuttora ancorato ad un look formale molto anni novanta – dove Skiptrace frana senza appello è proprio sul versante della commedia. Finendo con il rivalutare appieno le “imprese” cinematografiche dei nostri Lillo e Greg, del quale Knoxville si potrebbe considerare, fisicamente parlando, una specie di sosia statunitense. L’alchimia tra azione e commedia funzionava meglio nel nostrano Natale con boss, vedere per credere. Tutto dire. E non è sufficiente, a salvare l’esito finale di Skiptrace, l’ammirazione maschile per le bellezze femminili esibite nell’arco dell’intero film. In un genere così inflazionato sarebbe necessario ormai ben altro, per un lungometraggio che, con tutta probabilità, sarebbe stato considerato fuori moda persino agli albori del nuovo millennio. E se questi sono i primi frutti del matrimonio produttivo tanto auspicato – economicamente parlando, s’intende – tra Stati Uniti e Cina, ebbene c’è molto poco da stare allegri.

Daniele De Angelis

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