Il mondo è uno sterminato campo di battaglia
Ilaria Alpi e Davide Cervia sono solo due delle miliardi di vittime che, per motivi e dinamiche diversi, sono finite nella stretta letale e soffocante del Sistema criminale e tentacolare dei commercianti di morte; un Sistema, questo, multiforme e capillare che può annoverare tra le sue fila agenzie di intelligence, governi, produttori di armi e corpi investigativi. Un Sistema ormai ultra collaudato che può contare su una rete sterminata, paragonabile a un virus in grado di scatenare in qualsiasi momento una pandemia. Un Sistema che per sua consuetudine e caratteristica fondante si è sempre mosso e continuerà a farlo nell’ombra. Da qui il titolo con il quale Johan Grimonprez ha voluto battezzare il suo nuovo documentario, Shadow World, presentato in anteprima mondiale al Tribeca Film Festival e prossimamente nelle sale nostrane con I Wonder Pictures dopo i passaggi sugli schermi delle ultime edizioni del Biografilm Festival e del Milano Film Festival (nella sezione Colpe di Stato).
Per penetrare con la stessa precisione e incisività di un coltello in un panetto di burro, il regista belga si appoggia allo scottante libro-inchiesta firmato da Andrew Feinstein, “The Shadow World: Inside the Global Arms Trade”. E il risultato non può che essere un altrettanto potente studio sul commercio internazionale di armi e sulle devastanti ripercussioni sull’ordine politico ed economico a livello globale. Un esito che, proprio per la sua capacità di entrare e fare luce lì dove di luce non ce n’è e non ce n’è mai stata, non dovrebbe sorprendere più di tanto, visti i precedenti dietro la macchina da presa di Grimonprez, a cominciare dal dal controverso e scomodo dial H-I-S-T-O-R-Y, che racconta la storia dei dirottamenti aerei dagli anni Settanta e di come questi cambiarono il modo di riportare le notizie. Un film, quello del 1997 realizzando in collaborazione con Don DeLillo, che ha misteriosamente predetto gli eventi dell’11 settembre e ha analizzato in modo convincente come i media partecipino alla costruzione della nostra realtà distorta.
Shadow World ha nel DNA la medesima capacità di scavare ed esplorare nelle cavità misteriose e nascoste del tema trattato (nel cinema di fiction tentativi sono stati fatti con Lord of War di Andrew Niccol e prima ancora con Finché c’è guerra c’è speranza di Alberto Sordi) Ciò rappresenta senza ombra di dubbio il punto di forza e il motore portante dell’opera. Trattasi di una pellicola che sul versante dei contenuti e dalle rivelazioni che ne emergono ha molto da dire e da mostrare. Quanto basta per darci l’ennesima dimostrazione di quanti e quali interessi vi siano dietro il commercio delle armi, del funzionamento machiavellico che lo alimenta e soprattutto della corruzione a tutti i livelli che lo caratterizza. E la risposta emotiva dello spettatore di turno non può che essere la somma di un mix di sdegno, shock e rabbia, che spalanca le porte anche ad analisi e a non pochi spunti di riflessione. L’enorme magma incandescente di nozioni e informazioni che vengono riversate sullo spettatore, infatti, non serve all’autore solo per puntare il dito contro il Sistema e contro coloro che lo rendono possibile, ma anche per dare al fruitore dei motivi per uscire dalla sala e pensare. Questo lo differenzia in parte da molte operazioni analoghe di più o meno recente produzione; operazioni che puntano quasi esclusivamente sulle statistiche, sul quantitativo di informazioni ricavate e trasmesse, pochissimo sull’impatto che quest’ultime potrebbero avere sullo spettatore. Grimonprez, al contrario, ci pensa e si preoccupa del fatto che dall’altra parte dello schermo ci sono delle persone che non vanno solo riempite di nozioni, dati e parole, come si infarciscono i tacchini nel giorno della Festa del Ringraziamento, ma che meritano altro. Così, nonostante le informazioni inviate al destinatario siano davvero tantissime, al termine dei novanta minuti circa della timeline non ci si sente solamente storditi e con un senso di sazietà, ma anche sollecitati e spinti a riflettere sul tema e sulla sua importanza.
Attraverso un lungo e approfondito lavoro di ricerca storica, che parte dalla Grande Guerra e termina ai giorni nostri con l’uso improprio dei droni (torna alla mente il potentissimo Dirty Wars di Richard Rowley, oppure film di fiction come Il diritto di uccidere di Gavin Hood, Full Contact di David Verbeek o Good Kill di Andrew Niccol), il regista belga ci catapulta in un viaggio temporale nell’orrore e lo fa attraverso un racconto polifonico reso possibile da un mix di testimonianze inedite e di repertorio (a giornalisti, analisti, politici, presidenti, venditori di armi e storici). Ieri, oggi e domani si intrecciano in un aspirale di morte, sangue, soldi e piombo, che non può non fare ripensare ad Aristotele e a una dei suoi celebri aforismi: “Questo solo è negato a Dio: disfare il passato”. Ebbene, davanti all’excursus spazio temporale che ci trascina in alcuni dei tantissimi conflitti bellici consumati nel Novecento e nei primi decenni del Duemila, non si può restare indifferenti.
Ciò che ci ha convinto di meno e che a nostro avviso non rende giustizia ai meriti del documentario è, invece, un elemento di natura tecnica. Il cuore pulsante di Shadow World è, come abbiamo detto precedentemente, costituito dalle innumerevoli interviste filmate da Grimonprez, che rappresentano la spina dorsale dell’architettura narrativa. La scelta di affiancare al classico approccio frontale con l’intervistato, una seconda macchina che lavora nel backstage, mostrando la troupe mentre lavora, per quanto ci riguarda è uno stile di ripresa che qui risulta davvero inutile e futile, un qualcosa che non aggiunge nulla, ma che al contrario distrae il fruitore dalla visione e soprattutto dall’ascolto. E ciò si verifica tantissime volte, sufficientemente da convincerci ad abbassare il giudizio complessivo sul film, che altrimenti sarebbe stato più alto.
Francesco Del Grosso