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Sex Mission

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VOTO: 8

Criogenia, criogenia canaglia…

L’ibernazione è uno dei temi più gettonati della science fiction di tutte le epoche. A ben vedere, anche per il seguente motivo: nonostante le iniziali buone intenzioni, per quanto un certo spirito “positivista” vorrebbe proporla quale possibile soluzione per un problema o per l’altro, ad esempio quale strategia per rimandare a un futuro più evoluto la guarigione di soggetti affetti oggi da qualche male incurabile, quasi mai l’andamento della complessa operazione è quello stabilito in partenza… il che, da un punto di vista squisitamente drammaturgico, può avere esiti rilevanti, sia in direzione di un qualsivoglia sviluppo tragico che, volendo, in chiave comica, parodistica.

Tale è l’opzione portata avanti in Sex Mission (Seksmisja, 1984), con quello smalto narrativo e altri tratti distintivi che hanno reso la pellicola di Juliusz Machulski film di culto, almeno in Polonia. Felici noi, quindi, di esserci potuti confrontare con una simile visione nel corso del 41° Fantafestival, dove il lungometraggio ha aperto le danze della sezione retrospettiva significativamente ribattezzata Stelle rosse, in quanto composta da gemme provenienti dal cinema di fantascienza realizzato, un tempo, nei paesi dell’Europa Orientale.
Nell’introdurre la proiezione, programmata in collaborazione con l’Istituto Polacco di Roma, il co-direttore del festival Michele De Angelis ha rimarcato inoltre una prerogativa della pellicola senz’altro pregevole, quel suo essere “politicamente scorretta”, in termini che attualmente ne renderebbero forse impossibile persino la realizzazione. Se non magari a un livello decisamente “undergound”. E su ciò siamo sostanzialmente d’accordo: Sex Mission mette in scena con humour sulfureo e un’inventiva non comune quella “guerra dei sessi”, la cui rappresentazione scanzonata irriterebbe, se proposta oggi, non poche femministe talebane.
Vivaddio di una certa “cancel culture” noialtri ce ne sbattiamo ampiamente, per cui questa proposta cinematografica l’abbiamo accolta con entusiasmo assieme a un pubblico che, al Nuovo Cinema Aquila, ha accompagnato i passaggi più ironici e sorprendenti del racconto con risate a scena aperta.

L’arzilla commedia fantascientifica si apre con uno scenario tutto sommato “classico”, determinato dall’esperimento di criogenia (almeno sulla carta destinato a durare pochi anni) cui si sottopongono, un po’ avventatamente, Maks e Albert: “background” ed elementi caratteriali alquanto diversi, i loro, come si vedrà nel prosieguo dell’avventura. Tuttavia a capo del progetto vi è un pittoresco scienziato, il Professor Kuppelweiser (Janusz Michalowski), che di pasticci è destinato a combinarne non pochi, considerando il ruolo che ricoprirà più avanti durante un conflitto mondiale dall’esito quanto mai deleterio. Una sorta di “Dottor Stranamore” in salsa polacca, tanto per riassumerne scherzosamente la figura. E difatti i poveri Maks e Albert si risveglieranno parecchi decenni dopo, in un’era post-apocalittica dove gli altri uomini sono estinti e sono sopravvissute solo poco donne, senz’altro evolute ma patologicamente diffidenti nei confronti del “maschio”, in un asettico mondo sotterraneo.
Vi lasciamo semplicemente immaginare quante e quali situazioni bizzarre si svilupperanno, a partire dal loro brusco risveglio…

Tra scenette boccaccesche e fulminanti battute alla Billy Wilder, tra costumi sgargianti e ben curate scenografie da fantascienza minimalista, a prendere corpo è un’odissea futuristica condotta briosamente, con pungente ironia, così da riservare sorprese dall’inizio alla fine. Tutto ciò, anche grazie a un cast davvero elettrico: su tutti svetta, come prevedibile, un allora lanciatissimo Jerzy Stuhr, attore (benché con un futuro altrettanto radioso, negli anni a venire, quale cineasta) votato già all’epoca tanto ai ruoli comici che a quelli più seri. Qui interpreta Maks, il più irriverente dei due uomini risvegliati dal sonno criogenico. Applausi per lui, applausi per questo gioiellino recuperato dalla Polonia anni ’80.

Stefano Coccia

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