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Senza nessuna pietà

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VOTO: 6

Anime allo specchio

Non è mai facile buttarsi in nuove avventure creative, ci vuole coraggio e la voglia di mettersi in discussione. Nel caso di Senza nessuna pietà Michele Alhaique in veste di regista e Pierfrancesco Favino nei panni di attore e produttore hanno deciso di unire le forze, supportati da un ottimo cast, per cavalcare la strada del cinema di genere – via non facile da praticare, a partire dal piano dello script.
L’esordio alla regia dell’attore italiano ha un plot archetipico, ma al contempo promettente sulla carta: Mimmo (Pierfrancesco Favino) è un operaio, alle dipendenze però, di suo zio (un Ninetto Davoli in un ruolo insolito) con cui ha qualche debito da recuperare attraverso qualcosa che non vorrebbe fare. Sin dai primissimi fotogrammi percepiamo una cifra registica che accompagnerà tutto il film: la macchina da presa sta sul personaggio, dettagli del corpo, tagli particolari del volto vogliono suggerirci, senza particolari parole, il mondo che si nasconde dietro la corazza di Mimmo. Favino è molto intenso nella mimesi che mostra di aver effettuato per interpretare il suo personaggio, assume, spesso, uno sguardo silenzioso e comunica coi gesti più di qualsiasi altra parola. I gesti, si sa, possono essere ambivalenti, da quelli d’amore a quelli che sconvolgono se stessi e gli altri.
Ci sono domande e desideri che restano spesso sopiti fin quando un elemento estraneo li risveglia. In una vita di ordinaria routine, l’incontro con Tania (Greta Scarano) – una ragazza bellissima da andare a prendere come un pacco postale per portarla al boss (Adriano Giannini) – sconvolgerà tutti gli equilibri interni e famigliari. Nelle dinamiche relazionali non possiamo non segnalare Roscio (a vestirne i panni un Claudio Gioè totalmente in parte), un uomo che sa distinguere – dentro di sé – il bene dal male, ma si ritrova a farci i conti a modo suo, un po’ con le mani legate.
Alhaique con talento aveva interpretato uno dei due fratelli protagonisti dell’opera prima di Michele Rho, Cavalli, per cui sa cosa vuol dire sostenere un regista nella realizzazione del suo primo lungometraggio; così ha cercato di circondarsi di amici professionisti che potessero accompagnarlo in questo percorso. Ci duole dirlo, ma un punto debole c’è in Senza nessuna pietà e risiede nella sceneggiatura (Andrea Garello, Emanuele Scaringi), in particolare nel ritmo un po’ debole della prima parte. Immaginiamo che l’intenzione fosse quella di collocare i personaggi logisticamente con una macchina da presa che li studia e filtra per noi, ma il decollo sul piano empatico arriva dopo il primo colpo forte, poi ricala e si riprende completamente nell’ultima mezz’ora.
Presentata in Concorso in Orizzonti alla 71^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e al Toronto Film Festival, la pellicola cavalca gli stilemi del polar cercando di farli propri, non c’è gusto pulp per quanto i personaggi ricordino degli archetipi, ma Alhaique vuole tratteggiare il noir interiore che può esserci in una Roma periferica e di tutti i giorni. Quando nella seconda parte il ritmo diventa più serrato, pur sfruttando i luoghi della città capitolina e del litorale, abbiamo quasi la sensazione che potrebbe trattarsi di una città qualunque, perché a prendere il sopravvento sono i corpi, i dialoghi, i sentimenti. Fedele a ciò che affermava John Cawelti secondo cui il genere è l’equilibrio tra l’invenzione e la convenzione, il regista abbraccia alcuni cliché, ma cerca anche un suo modo di far cinema di genere attaccandosi ai corpi, agli attori che danno sostegno all’opera.
Una nota di merito va all’ottima fotografia (Ivan Casalgrandi) e al lavoro sulla colonna sonora (composta da Luca Novelli e Pierre-Alexandre “Yuksek” Busson), validi strumenti nella ricerca del dettaglio e della costruzione del flusso emotivo.
Ci sentiamo di incoraggiare Alhaique nel continuare a percorrere i percorsi che gli sono a cuore con l’onestà (dimostrata) di chi si mette in gioco, invitandolo ad osare ancora di più nella rottura degli schemi di genere, pur mantenendo (e se possibile amplificando) l’amore per gli attori che ha dimostrato di avere ed è stato ricambiato con grande generosità da parte loro.

Maria Lucia Tangorra

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