Home Festival Venezia 2019 Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari

Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari

380
0
VOTO: 7.5

(R)esistere

Non poteva non iniziare dalla Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica l’avventura di Se c’è un aldilà sono fottuto. Vita e cinema di Claudio Caligari, il ritratto che Simone Isola e Fausto Trombetta hanno dedicato al compianto regista piemontese a quattro anni circa dalla sua morte, avvenuta a pochi giorni dalla fine del montaggio di quella che purtroppo sarà l’ultima fatica dietro la macchina da presa. In questo modo, Caligari e il suo cinema tornano ancora una volta, seppur idealmente, artisticamente e spiritualmente come era accaduto per l’anteprima di Non essere cattivo, laddove tutti e tre i suoi lungometraggi hanno trovato, tra consensi e critiche feroci, opportunità importanti e prestigiose di visibilità. Così è stato per il contestatissimo Amore tossico nel 1983 e quindici anni più tardi per L’odore della notte, così è stato per la pellicola del 2015. Viene da sé allora che la cornice ideale e giusta per il battesimo della biografia che lo vede protagonista non potesse che essere la kermesse lidense, che ne ha ospitato la première nella sezione “Venezia Classici Documentari” nel corso della 76esima edizione.
Con la proiezione veneziana sembra quasi volersi chiudere un cerchio, perché è con le immagini del photocall, del red carpet e del lungo e meritatissimo applauso al termine della visione di Non essere cattivo nella Sala Grande del Palazzo del Cinema che si chiude il viaggio fisico ed emozionale che Isola e Trombetta hanno compiuto nella vita dentro e fuori dal set di Caligari. Un tour che gli autori hanno costruito attraverso una polifonia di voci, quelle delle testimonianze di coloro che a vario titolo sono entrati nell’orbita esistenziale e professionale del cineasta di Arona, aggiungendo ad esse una collezione di materiali di repertorio e di riprese inedite che hanno contribuito a dare forma e sostanza alla timeline. Il tutto incastonato di volta in volta in una struttura che ha scelto come filo conduttore la presenza dell’amico di sempre e per sempre, Valerio Mastandrea, e le immagini delle varie fasi di lavorazione dell’opera terza (casting, prove con gli attori, pre-produzione, sopralluoghi, piano di lavoro e riprese).
Il risultato è un biopic classico nella concezione e semplice nell’architettura narrativa, nel quale le interviste frontali con collaboratori e affetti (la madre) e l’interazione con il footage d’archivio (tra cui frammenti di film e documentari, backstage e diari di lavorazione, interviste delle varie epoche) rappresentano la colonna vertebrale. Cinema e sfera privata si mescolano dando forma e sostanza a un flusso verbale che ci porta alla scoperta – o alla riscoperta – tanto del modo di fare e concepire la Settima Arte di Caligari quanto del suo profilo caratteriale. Flusso che in Se c’è un aldilà sono fottuto diventa parte integrante di un tour che si fa anche fisico, con la macchina da presa che alla ricerca di efficacissimi intrecci spazio-temporali torna nei luoghi che hanno fatto da location ai suoi film. In questo modo, presente storico e passato confluiscono mostrandoci come quei luoghi, in primis Ostia, sono mutati e se lo sono nell’arco di trent’anni. Ed è lì che le tracce lasciate miracolosamente riemergono, così come le emozioni ad esse legate riaffiorano nella mente di coloro che le hanno vissute al fianco e nel ricordo di un uomo e di un regista con pochissimi film alle spalle fatti e moltissimi altri purtroppo mai realizzati per la sua incapacità di scendere a compromessi. Ed è sempre in quei luoghi della mente e dell’anima dove il cinema di Caligari è nato e continua a (r)esistere, quello portatore di tematiche scomode e di crudo realismo immerso fino al collo in mondi marginali che stanno ai lati della società ufficiale, che Isola e Trombetta hanno usato come tela sulla quale dipingere un ritratto carico di amore e sincero affetto. Sentimenti che si respirano dal primo all’ultimo fotogramma del documentario e dalla cura con la quale è stato confezionato.

Francesco Del Grosso

Articolo precedente(Re)Visioni Clandestine #22: Masterminds – I geni della truffa
Articolo successivoStoria di un matrimonio

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

nove − 4 =