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Schemers

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VOTO: 7

Mr. Grunge (e non Crocodile…) Dundee

Apertura col botto a Ravenna. Subito dopo la strepitosa sonorizzazione degli OvO di uno dei primi kolossal italiani del muto, L’Inferno prodotto nel 1911 dalla Milano Films, è stato il turno del primo film in concorso al Soundscreen Film Festival 2020, Schemers, autentica ventata di freschezza dal Regno Unito.
L’autore, Dave McLean, ci ha regalato una sorta di sfrontato biopic su se stesso, un’autobiografia giovanile dalla colonna sonora travolgente che trae spunto, romanzandoli con humour, dai difficili anni della sua formazione nella cittadina scozzese di Dundee; la stessa che, a detta di una delle protagoniste dello spigliato racconto (ovvero il primo amore di Davie), appariva troppo piccola per contenere ben due squadre della prima divisione scozzese, il Dundee e il Dundee United.

Tanto amarcord, quindi, per questo lungometraggio che nel 2019 ha anche vinto il Premio del Pubblico, all’Edinburgh International Film Festival. La positiva accoglienza ricevuta “giocando in casa” non ci sorprende affatto. Tra risse nei pub, carriere calcistiche stroncate da singolari “infortuni” (e comunque il protagonista ammette candidamente nel film che non sarebbe mai diventato il nuovo George Best), tipacci intenti a spartirsi il giro dei locali o altre fruttuose attività, ragazzi e ragazze costantemente a caccia di novità musicali e pronti quindi ad affollare i concerti di qualche band emergente, Schemers aveva già in partenza tutte le carte in regola per proporre un piacevolissimo entertainment, fondato sia sulla sincerità di una narrazione popolare così vicina alla sensibilità di quegli anni che su quel ritmo vorticoso, tambureggiante, reso poi ancor più frizzante e dinamico dalle scelte di montaggio.

La Scozia giovane e ribelle affrescata da Dave McLean ci pare invero debitrice, cinematograficamente parlando, dei primi lungometraggi di Danny Boyle, in primis ovviamente Trainspotting, come anche delle filmografie ruvide e gravide di istanze sociali di un Peter Mullan o di uno Shane Meadows, restando sempre in territorio britannico. Con una coloritura pop magari più accentuata.
Ma di fondo è la personalità di questo produttore musicale divenuto per l’occasione regista a conquistare lo spettatore. Giusto per aggiungere qualche dettaglio sui trascorsi del Nostro, il suddetto Dave McLean può vantare un’esistenza indubbiamente movimentata che lo ha portato a trasferirsi nel sud-est asiatico, dopo essersi affermato nella scena musicale londinese in qualità di manager dei Placebo e di altre band di culto. Interessantissima anche la notazione fatta in sala da Maurizio Principato, giornalista musicale chiamato dal festival ad introdurre il film: se infatti negli anni ’60 l’aria di rinnovamento rappresentata a livello musical da Beatles, Rolling Stones, The Animals ed altri era sbarcata felicemente in America, Dave McLean ha facilitato in un certo senso il processo inverso, importando con successo nel Regno Unito le sonorità Grunge di Nirvana, Green Day e The Smashing Pumpkins. Da parte nostra possiamo solo aggiungere che la stessa mano felice l’ha avuta, senz’altro, nel realizzare il suo film.

Stefano Coccia

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