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Schegge di Ottanta: Hannah e le sue sorelle

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VOTO: 8

Woody al Max

Lascia quantomeno un po’ perplessi, ripensare oggi ad un’opera come Hannah e le sue sorelle (1986). Non certo per la qualità, indiscutibilmente alta, del film in questione. Più che altro alla luce della crociata anti-Woody Allen intrapresa dal movimento post-femminista di #metoo e affini. Quello, per intenderci, che sta per vie traverse impedendo la pubblicazione del libro di memoria dello stesso Allen negli Stati Uniti. Nessuna intenzione di spezzare una lancia nei confronti del buon Woody, il quale magari a difendersi ci riesce benissimo da solo; risulta però difficile da accettare una marcata vena misogina da parte di un autore capace di confezionare un’autentica ode al sesso femminile come fatto nel lungometraggio in questione. Ad ogni modo il passato è il passato, le cose possono cambiare (e il rapporto tra Allen e Mia Farrow, protagonista del film, è lì a dimostrarlo) eccetera, eccetera.
Ma torniamo a Hannah e le sue sorelle. Cinema introspettivo, con personaggi descritti in ogni minimo particolare. Una ronde sentimentale molto alla francese, ovviamente in ambito alto borghese. Frizzante, ma mai evanescente. In cui è sempre presente, perlomeno nella vena artistica alleniana del periodo, il solito “fantasma” a mo’ di convitato di pietra. Uno spirito inquieto che viene dalla Svezia, conosciuto in tutto il globo con il nome di uno dei maggiori e leggendari autori della Settima Arte: Ingmar Bergman. Una parentesi s’impone, a questo punto. Tra tutti i registi capaci di assimilare e riproporre con varianti il cinema del maestro svedese, proprio Woody Allen è il cineasta che è riuscito a coglierne in misura maggiore l’essenza. E Interiors (1978) è forse il film più “bergmaniano” mai realizzato non diretto in prima persona dal sommo genio scandinavo.
Come chi ha avuto il piacere della visione di Hannah e le sue sorelle ricorderà senz’altro, nel cast è presente il da poco scomparso Max von Sydow. Magnifico e magnetico interprete la cui semplice apparizione su un qualsiasi set cinematografico evoca il proprio autore-mentore Bergman. Non bastasse ciò, il Woody Allen sceneggiatore racchiude nel personaggio di Frederick (appunto Max von Sydow) la sua personale idea dell’autore de Il settimo sigillo. Un artista solitario e misantropo. Una sorta di amante-pigmalione che svezza alla vita “artistica” la bella e assai più giovane Lee (una fulgida Barbara Hershey) fino all’inevitabile rottura sentimentale. Ha tutta l’aria di una metafora nascosta. Woody che venera e attinge dal cinema del maestro per poi andarsene per la propria strada. Esattamente come accade nella vita di ogni giorno, di generazione in generazione. Un elemento che aggiunge altri valori intrinseci ad un’opera come Hannah e le sue sorelle. Tacito monumento all’estrema sfaccettatura dell’universo femminile messo a (abbastanza impietoso) confronto con le debolezze tipiche del maschio. In toto dipendente, potremmo azzardare tale lettura da psicoanalisi spicciola, dalla cosiddetta “altra metà del cielo” che lo ha messo al mondo.
Hannah e le sue sorelle sarebbe allora da definire uno strepitoso concerto attoriale. Un coro a più voci magistralmente orchestrato da un direttore – che si ritaglia una partecipazione anche davanti alla macchina da presa, come sovente ha fatto – in completo e assoluto stato di grazia. Inutile farsi prendere dalla nostalgia e ricordare, con rimpianto, i bei tempi andati, quando l’annuale lungometraggio alleniano era atteso al pari di un evento cinefilo da non perdere per motivo alcuno. Del resto siamo tutti consapevoli di quanto un decennio come quello degli anni ottanta sia stato unico e irripetibile, in campo cinematografico. Hannah e le sue sorelle rimane comunque sempre disponibile ad ogni occasione. Avendo ad ogni visione successiva un sapore differente secondo stati d’animo e momenti soggettivi, segno di un grande film incapace di invecchiare.

Daniele De Angelis

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