In “differita” dal “paese degli uomini integri”
Thomas Sankara ieri. Thomas Sankara oggi. Thomas Sankara domani? Probabilmente sì, considerando che l’immagine del rivoluzionario africano è sempre molto viva, non soltanto nella memoria di chi ha lavorato al suo fianco per assicurare al Burkina Faso (noto da allora come “paese degli uomini integri”) un futuro migliore o lo ha comunque conosciuto personalmente, ma anche negli strati più vigili e coscienti delle nuove generazioni africane rimaste orfane, dopo il suo assassinio, di leader che facciano realmente i loro interessi in paesi schiacciati da sfruttamento, neocolonialismo, geopolitiche crudeli.
Nella prima sequenza del suo documentario, intitolato per l’appunto Sankara, il cineasta e giornalista francese Yohan Malka raccoglie in strada il pensiero di alcuni giovanissimi di colore, interrogandoli su chi sia stato realmente Thomas Sankara. Alcuni non ne sanno molto, uno risponde addirittura che potrebbe essere stato un dittatore africano. Tipo Bokassa, per intenderci. Per fortuna tra di loro c’è anche qualcuno che ha avuto più curiosità di informarsi e di interessarsi al passato del Continente Nero. Magari lo ha fatto anche attraverso i testi del rapper transalpino Kalash Criminel, giacché per molti artisti impegnati di area francofona (vedi anche Art Melody dallo stesso Burkina Faso, il cui punto di vista emergerà con pari forza nel corso della narrazione) l’esperimento politico e sociale di Sankara in Africa ha un valore uguale se non addirittura più alto di quello portato avanti da Che Guevara nell’America Latina, col quale si possono tracciare del resto non poche analogie.
Presentato a SEEYOUSOUND nella vivace sezione “Rising Sound – Music is the Weapon”, Sankara è un film tutt’altro che perfetto, nella forma può apparire persino grezzo, abbondano le ripetizioni e le prospettive più di taglio giornalistico che cinematografico. Ma ha al contempo il merito di tratteggiare una figura importante della Storia recente con genuino interesse, rispetto, acume, nonché con sincera comprensione sia dei valori positivi espressi da quella pur breve parabola di governo che di un’eredità politica ancor meno trascurabile, nel panorama così scialbo e corrotto di oggi.
In Sankara presente e passato prossimo si rispecchiano di continuo. Alle interviste effettuate ai giorni nostri, riguardanti non soltanto soggetti giovani o giovanissimi ma anche i vecchi membri del governo rivoluzionario dell’ex Alto Volta (nome cambiato da Sankara e dai suoi, anche per lasciarsi alle spalle il grigio passato coloniale), s’alternano sullo schermo filmati degli anni ’80 in grado di illustrare efficacemente la schiettezza, la comunicatività, il rigore morale e la modernità di un uomo come Thomas Sankara: figura carismatica che scopriamo essere stata protagonista non soltanto del processo di decolonizzazione, ma anche di battaglie assai progredite per l’epoca in chiave ambientalista o di emancipazione delle donne africane, relegate così spesso nella società di quegli anni a ruoli subalterni o rilevanti solo in ambito domestico. Sebbene il momento più alto resti probabilmente quello in cui Sankara, che non amava troppo l’etichetta e i protocolli, seppe mettere all’angolo durante una visita ufficiale quella vecchia volpe di Mitterrand, inchiodando il navigato politico francese alle responsabilità del suo paese nei confronti delle ex colonie.
Ancor più rabbia, stante ciò, genera il teso e vibrante ricordo dell’assassinio di Sankara, commissionato con ogni probabilità da interessi occidentali, ma perpetrato con inaudita meschinità da un commando il cui operato è facilmente riconducibile, oggi come allora, al serpentino Blaise Compaoré, compagno d’arme, amico e quasi fratello di Sankara, il cui tradimento merita di essere catalogato tra le più grandi infamie della Storia. Quasi a riproporre un archetipo, che ha forse nel cruento voltafaccia di Marco Perperna Ventone nei confronti del generale ribelle Quinto Sertorio, in età romana, il più illustre antecedente.
Stefano Coccia