Home Festival Altri festival Salvadis

Salvadis

221
0
VOTO: 6,5

I sommersi e i… salvadis

L’intera filmografia di Lorenzo Bianchini è una dimostrazione di come serpeggi presso i film-makers del Friuli Venezia Giulia l’interesse per il cinema di genere, spesso affrontato nelle sue forme più autarchiche, genuine, ruvide, radicali. Con il territorio stesso a essere fonte di ispirazione. Ed è una circostanza palpabile anche che saggiati il folklore, l’urbanistica e le vicissitudini storiche di Udine o di Trieste tali piccole produzioni si stiano spostando poco a poco verso l’entroterra boschivo, verso quelle marche di confine naturalisticamente affascinanti ma di gran lunga più aspre e solitarie. Emblematico di una simile migrazione interna può essere proprio quel lungometraggio divenuto in breve tempo oggetto di culto, ossia lo splendido Oltre il guado dello stesso Bianchini, girato tra i boschi di Monteprato e il centro antico di Topolò.

A rinverdire questa tradizione tutto sommato recente ecco arrivare Salvadis di Romeo Toffanetti, nativo di Buenos Aires e già noto per alcune produzioni cinematografiche indipendenti, come pure per la sua attività di fumettista presso la Bonelli. Codesta incursione nel genere ha trovato la giusta collocazione, all’interno del Trieste Science + Ficton 2021, in Spazio Italia. E al netto di qualche tratto un po’ acerbo o delle piccole incertezze di scrittura si è fatta anche apprezzare.
Sin dalla scelta ormai iconica della lingua Furlan per i dialoghi, ciò che colpisce dello scarno “Walking Dead prealpino” realizzato da Toffanetti è innanzitutto la capacità di riadattare le coordinate di un filone talmente prolifico, come quello incentrato sui morti viventi, a una determinata cornice antropologica e ambientale. Protagonisti della vicenda sono tre ragazzi asserragliatasi in una valle del nord-est italiano, Giordano, Rossella e Alessio. Fuori dal loro borgo isolato e protetto da solidi confini naturali sembrerebbe essere ancora in corso una devastante apocalisse zombi. Ma le cose staranno davvero così?

Nell’interpretazione schietta e basica di Toffanetti gli elementi di genere aiutano anche a “leggere” il territorio, alludendo metaforicamente a una certa tendenza delle comunità friulane arroccate tra monti e vallate a chiudersi in loro stesse, riducendo il confronto col mondo esterno. Le frequenti riprese dall’alto del borgo e della diga, gli accesi scambi di battute tra i tre giovani sopravvissuti, i ricordi di personali rinunce racchiusi in qualche flashback: tutto contribuisce alla costruzione di quel senso profondo di chiusura; arricchendo peraltro di tratti ansiogeni e claustrofobici un anomalo zombi movie, ambientato tra verdi pascoli, antiche case di pietra e cime maestose. Anomalia per anomalia, il ribaltamento finale del racconto, con tanto di blitz negli studi di un TG regionale, può tranquillamente diventare oggetto di discussione. Magari di critica. E non aggiungiamo altro proprio per non rovinare la sorpresa agli spettatori. Limitiamoci semmai a dire che ne abbiamo gradito, quantomeno, la sfacciataggine.

Stefano Coccia

Articolo precedenteWhen I’m Done Dying
Articolo successivoChi è senza peccato

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

quattro × 1 =