Neanche Istanbul ha potuto aiutarci
Cosa spinge un regista a girare, anno dopo anno, sempre lo stesso film? Cosa potrà mai fargli credere che il pubblico possa essere interessato a vedere e rivedere, ogni volta, la stessa pellicola, con solo poche varianti al suo interno? A quanto pare, in Italia, produttori e distributori – oltre agli stessi autori – sono convinti che qualcosa rivelatosi, in qualche modo, interessante in passato, possa avere lo stesso effetto sugli spettatori anche nel caso in cui dovesse essere riproposto anno dopo anno. Grave errore, questo. Grave errore che diventa ancor più grave nel momento in cui il prodotto di partenza aveva già di per sé parecchie pecche. È il caso, questo, di numerosi cineasti italiani, così come di chi in Italia è stato esaltato più del dovuto fin dal principio. Le conseguenze di tale modus operandi, si possono facilmente immaginare. Ed ecco che a tre anni dal suo ultimo lungometraggio, Allacciate le cinture, il regista turco Ferzan Ozpetek – considerato, di fatto, tra i più interessanti cineasti operativi nel nostro paese – è tornato nella sua città natale, Istanbul, per girare il suo ultimo lavoro, Rosso Istanbul, tratto dal suo omonimo romanzo, in cui la componente autobiografica fa ancora una volta da protagonista assoluta. La storia messa in scena ha, come si può facilmente immaginare, ben poco di sorprendente.
Orhan e Deniz sono amici da molti anni, pur non vedendosi da parecchio tempo. Nel maggio 2016, però, Orhan, scrittore di successo, tornerà ad Istanbul per aiutare Deniz – diventato, nel frattempo, uno stimato regista cinematografico – a finire la scrittura del suo ultimo libro. In seguito alla misteriosa scomparsa di Deniz, l’uomo avrà modo di entrare nella vita dell’amico, conoscendo i suoi famigliari e le persone a cui era maggiormente legato, Neval e Yusuf. In questa occasione lo scrittore avrà modo anche di rivivere il proprio passato, iniziando un lungo e spesso doloroso processo di autoanalisi.
Detto questo, l’andamento di tutto il lungometraggio può essere facilmente immaginato. Salvo qualche interessante movimento di macchina che, vuoi in panoramica dall’alto, vuoi lungo le strade, ci mostra la bellissima città di Istanbul, infatti, quello a cui assistiamo è qualcosa che per andamento narrativo ci ricorda molto Cuore sacro e che, per tematiche, somiglia a qualsiasi altro film di Ozpetek, da Mine vaganti a Le fate ignoranti, fino a toccare, per certi versi anche Magnifica presenza (dove, tuttavia, un tono molto più leggero aveva fatto da protagonista per quasi tutta la pellicola). I temi dell’omosessualità e del ritorno inaspettato del passato, uniti ad una certa componente spirituale e, se vogliamo, sovrannaturale, dunque, vengono ancora una volta mescolati per dare vita ad un prodotto al solito altamente pretenzioso, con personaggi secondari sì potenzialmente interessanti, ma, purtroppo talmente stereotipati e poco naturali da risultare sovente finti e, a tratti, addirittura come delle macchiette (vedi, ad esempio, la scena in cui Orhan conosce, durante una cena, le due zie di Deniz e si trova, dunque, circondato dalle donne che hanno da sempre fatto parte della vita dell’amico).
Malgrado la somiglianza con precedenti opere, però, di fatto Rosso Istanbul potrebbe essere considerato quasi una summa di tutta la cinematografia di Ozpetek, dal momento che qui il regista, portando, in qualche modo, il suo stile all’estremo, si perde a tal punto nelle sue stesse elucubrazioni introspettive ed autoreferenziali da far perdere man mano (volutamente o meno) nerbo a tutta la storia, diventata, a questo punto, una mera e piuttosto debole cornice. Ed anche se, di fatto, si possono immaginare le iniziali intenzioni dell’autore, il risultato è un prodotto che via via che ci si avvicina alla fine, sfianca sempre di più, con un protagonista che risulta a tratti urticante ed una trama di cui, di fatto, piano piano non ci importa più.
Eppure, il ritorno ad Istanbul, aveva fatto ben sperare anche in un possibile cambio di rotta da parte di Ozpetek. O magari anche solo in un possibile focus sulla situazione politica della città stessa, visto il difficile 2016 appena trascorso ed i numerosi spunti che un luogo del genere può offrire. Ma, alla fine, c’è stato ben poco da sperare. A Ferzan Ozpetek piace a tal punto fare il Ferzan Ozpetek che, ormai, già si può immaginare dove i suoi prossimi lavori andranno a parare. Fino al momento in cui ci si renderà conto (forse), che il (bel) cinema è, di fatto, altro.
Marina Pavido