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Ritratto di un amore

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VOTO: 7

Il nostro amore è come un mandorlo in fiore

Nel corso dei decenni il cinema ha raccontato le vite di tanti pittori e pittrici che hanno lasciato un’impronta indelebile del loro passaggio sulla tela e nella storia dell’Arte. Nella galleria dei ritratti dipinti sul grande schermo ora figura anche quello di Pierre Bonnard, post-impressionista nel giro di Degas e Renoir. Agli ultimi cinquant’anni della vita e della carriera dell’artista francese il connazionale Martin Provost ha dedicato il suo ottavo lungometraggio dal titolo Bonnard, Pierre et Marthe, distribuito nelle sale italiane dal 16 maggio da I Wonder Pictures con il titolo Ritratto di un amore a un anno esatto dall’anteprima mondiale al 76° Festival di Cannes. Del resto chi meglio del regista di Brest poteva firmane la biografia, lui che da amante della pittura aveva già realizzato nel 2008 Séraphine, biopic sulla pittrice autodidatta Séraphine de Senlis.
Nella sua ultima fatica dietro la macchina da presa, il regista ci porta nella Francia di fine Ottocento per ripercorrere le stagioni e l’opera di Bonnard oltre alla relazione con l’enigmatica Marthe, che ebbe un ruolo fondamentale nel suo lavoro artistico. Il film esplora il profondo e complesso legame che li ha uniti, rivelando la storia d’amore e di creazione che li ha segnati. Il risultato non è uno, bensì un doppio ritratto di coppia in una comédie d’amour dal retrogusto melò carico di raffinato e sensuale erotismo che indaga l’amore, la passione e la creazione. Con l’intelligenza e l’esperienza che contraddistingue il suo cinema, Provost ha evitato dunque la maggior parte delle insidie che aleggiano e limitano solitamente i film sull’arte e sugli artisti, andando al cuore della questione. Per farlo si è ispirato a eventi storici reali, allargando lo spettro del racconto e il punto di vista a colei che è stata parte integrante e figura chiave nell’esistenza di Bonnard. In questo modo la narrazione non è circoscritta, ma può concentrarsi al contempo sull’operato dell’artista, sulla sua vita, su quella della moglie e sulla loro relazione. Una relazione passionale e artistica tormentata quella di una coppia atipica, consumata tra colpi di fulmine, ardenti vicinanze, dolorosi allontanamenti e ritorni di fiamma. Il tutto al fine di mostrare le diverse sfaccettature del rapporto tra i due, ma anche l’influenza che hanno avuto l’uno sull’altra.
Allargando lo spettro narrativo e drammaturgico del plot, l’autore ha avuto così l’occasione di tornare su temi che gli sono più cari come il rapporto tra vita e creazione, l’emancipazione femminile e il ruolo delle donne in relazione al mondo dell’arte e delle istituzioni. Tematiche, queste, che Provost ha affrontato molte volte in passato, lui che è noto soprattutto per avere diretto period-drama e biopic incentrati su personaggi famosi tra cui il già citato Séraphine e Violette, pellicola sulla vita della scrittrice francese Violette Leduc. L’avere lavorato assiduamente su biografie e film ambientati nel passato, facendone la colonna vertebrale della sua filmografia, ha fatto sì che i risultati fossero sempre qualitativamente elevati dal punto di vista estetico e formale. Per Ritratto di un amore, così come a suo tempo per Séraphine, il cineasta francese si è trasformato esso stesso in un pittore impregnando di luce e malinconia, attraverso la fotografia di Guillaume Schiffman, ogni singola inquadratura, tanto negli interni quanto nelle pittoriche e liriche scene en plein air catturate sulle rive della Senna, dove la casetta della coppia che fa da ambientazione principale è immersa nella campagna. Le immagini che accompagnano il racconto sono esse stesse dei quadri con la mente che torna a Il gusto delle cose. A completarli ci pensano poi i splendidi costumi e le altrettanto curate scenografie, che esaltano ulteriormente il lavoro di ricostruzione storica, offrendo le cornici ideali per accogliere le intense interpretazioni di Vincent Macaigne e Cécile De France.
Peccato per alcune svolte inopportune e per quelle digressioni futili che costellano la timeline, dilatando in maniera eccessiva il racconto quando invece lo si poteva alleggerire come nel caso del finale che la tira troppo per le lunghe. In questo Provost e il suo compagno di scrittura Marc Abdelnour si sono un po’ troppo fatti sfuggire la mano. Un maggiore controllo avrebbe sicuramente giovato in tal senso.

Francesco Del Grosso

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