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Rione Sanità, la certezza dei sogni

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VOTO: 7.5

Nessun miracolo

Sappiamo bene quanto Diego Armando Maradona, appena scomparso, sia stato importante per il Napoli Calcio e Napoli in generale. Il fuoriclasse argentino ha posizionato la città partenopea sulla mappa del calcio internazionale e non solo, fornendo alla gente quell’idea di riscatto attesa da troppi anni. Tuttavia altre persone si stanno battendo per dare, stavolta in concreto, un altro volto alla splendida capitale campana. Tra questi c’è un prete di nome Antonio Loffredo. La sua storia la racconta l’imprescindibile documentario Rione Sanità, la certezza dei sogni, diretto da Massimo Ferrari e presentato nell’ambito del Torino Film Festival 2020.
Esponente della Chiesa Cattolica che piace a noi, quella incapace di arroccarsi sterilmente sulla linea difensiva della conservazione, Don Loffredo, sin dal suo insediamento, ha “liberato” il patrimonio architettonico in possesso della Chiesa in una delle zone maggiormente critiche in quanto a presenza di criminalità organizzata. Le chiese esistenti vengono ora adibite a un uso artistico. Le catacombe di San Gennaro sono divenute frequentatissime mete turistiche. Nell’intero rione, uno dei più popolosi di Napoli, è in atto un processo di rinascita che solo la ben nota emergenza sanitaria che stiamo vivendo da diversi mesi ha fatto in modo di rallentare, sebbene solo parzialmente. Assistere alla visione di Rione Sanità, la certezza dei sogni costituisce una pedagogica lezione che va ben al di là del proprio intrinseco valore cinematografico: di fronte alla pachidermica immobilità delle istituzioni solamente la grande volontà di persone realmente disponibili ad attuare progetti può cambiare un destino che pareva segnato. Oltre a quella di Antonio Loffredo, nel documentario colpisce anche quella di Ernesto Albanese, un imprenditore napoletano che ha perduto, nel 2005, l’amato padre nel corso di una banale rapina. La sinergia tra lui e Don Loffredo ha dato i frutti sperati, creando una società di nome “L’altra Napoli” che, investendo sul territorio, ha creato quegli attesi spazi nei quali i giovani hanno trovato sia una possibilità di sbocco professionale che una concreta speranza di futuro.
Accompagnati dalla presenza della giornalista Conchita Sannino, vero e proprio Cicerone di un documentario punteggiato dalle illuminanti citazioni dello scrittore Ermanno Rea – ovviamente napoletano doc – recitate da bambini, si assiste ad una sorta di cronistoria del rione che ha dato i natali a personalità celebri come il principe Antonio De Curtis, meglio conosciuto con il nome d’arte di Totò. Ed è stata una morte, quella di un innocente ragazzo di sedici anni, vittima indiretta di un’esecuzione di stampo camorristico, a far dire basta alla gente. Ad alimentare un desiderio di riscatto non più differibile. Il lungometraggio di Ferrari non omette nulla, mostrandoci immagini di repertorio che fanno rabbrividire, a proposito di una zona di Napoli divenuta tristemente nota per il numero sproporzionato di omicidi in pieno giorno. Ma altri brividi, se animati dalla voglia di riscatto, possono seguire, tipo l’emozione che si prova ascoltando l’esecuzione del famoso “Inno alla Gioia” di Ludwig van Beethoven partorito da un’orchestra autoctona. Senza contare la scultura, le attività teatrali, una squadra di calcio e tante altre attività che ora costituiscono alternative tangibili alla mera sopravvivenza cui il rione appariva per molti versi condannato.
C’è davvero da sperare che, parafrasando le parole di Cesare Pavese, dalla visione di Rione Sanità, la certezza dei sognipossa nascere la spinta irresistibile all’azione” ovunque. Quella positiva, in grado perlomeno di far intravedere una nuova strada. Cosa, quest’ultima, che dovrebbe essere prerogativa fondamentale sia della religione che, a maggior ragione, della politica.

Daniele De Angelis

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