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(Re)Visioni Clandestine #55: Il nano e la strega

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Uomo nano tutto banano

La cinematografia italiana è principalmente nota nel mondo per il Neorealismo e la Commedia all’italiana. Ma il cinema nostrano è anche rinomato, dopo gli omaggi cinefili di Quentin Tarantino ed Eli Roth, per il cospicuo contributo al cinema di genere, che spazia dagli Spaghetti Western al Poliziottesco, passando per la Commedia sexy, il Thrilling e l’Horror. Meno nota, sebbene con una proficua e curiosa produzione, è l’animazione italiana, che purtroppo sporadicamente è riuscita a valicare i confini nazionali e mai a competere con le produzioni americane, a dispetto del fumetto nostrano, che ha ottenuto maggior visibilità e attestati di stima (Bonelli editore, Guido Crepax, la serie Diabolik, ecc.). Sorprendente eccezione, avvenuta in questi ultimi tre lustri, destando stupore in primis negli stessi realizzatori, è lo straordinario successo internazionale ottenuto dal serial televisivo Winx Club (2004-presente) ideato da Iginio Straffi. Esportato in ben 150 paesi, il serial ha finanche creato un redditizio merchandising di tipo disneyano. Non bisogna dimenticare, comunque, che nella lunga storia dell’animazione tricolore, iniziata con timidi tentativi già nell’epoca del muto, si sono distinti anche i fratelli Pagot (I fratelli Dinamite, 1949), il visionario Bruno Bozzetto (West and Soda, 1965) e, in particolar modo, lo studio d’animazione Lanterna magica, che sul finire degli anni Novanta, e per una decina d’anni a seguire, si è impegnata a produrre dei film d’animazione proponibili anche all’estero, come attestano gli sforzi produttivi de La freccia azzurra (1996) o de La gabbianella e il gatto (1998), ambedue di Enzo D’Alo, che in seguito si mise in proprio. Eppure una citazione speciale la merita lo strambo Il nano e la strega (1975), porno-cartoon firmato da Gioacchino Libratti ma materialmente realizzato da Gibba.

Per moltissimi anni questo film d’animazione, anche a causa delle beghe che ebbe con la censura, era rapidamente sparito dagli schermi, e veniva riproposto, in modo clandestino, sulle reti televisive regionali prima dell’entrata in vigore della “Legge Mammì” (1990). La riscoperta – con parziale rivalutazione – avvenne sul finire degli anni Novanta, quando la Shendene e Moizzi, coadiuvata da Nocturno Cinema, lo riversò per la prima volta in VHS. Curioso quanto datato reperto degli anni Settanta, Il nano e la strega nasce dall’idea di seguire la strada solcata dello scandaloso cartoon Fritz il gatto (Fritz the Cat, 1972) di Ralph Bakshi e tratto dall’omonimo dissacrante fumetto di Robert Crumb. A differenza dell’opera di Bakshi, che si rifà prettamente allo stile del fumetto (forma e contenuto), il cartoon di Gibba recupera tutti i tópoi classici della fiaba (nano, strega, magie, sortilegi, regicidio ecc.) e anche il tratto espressivo tipico delle stilizzate immagini d’accompagnamento dei libri per bambini, aggiungendovi però l’aspetto pornografico. Il nano e la strega pertanto è una fiaba porno-comica creata per un pubblico di soli adulti, in cui quegli elementi narrativi bambineschi sono reinterpretati attraverso situazioni pornografiche (come le pellicole hardcore) per saziare le fantasie porcelline degli spettatori, che qualche tempo prima erano stati dei bambini uditori di fiabe. In ogni modo non bisogna dimenticare che le versioni di Charles Perrault (1628-1703) lasciavano velatamente trasparire momenti sessualmente ambigui, tipo in “Cappuccetto Rosso”. Fritz il gatto, anche se opera “vecchia” e massacrata nell’edizione italiana a causa di un doppiaggio indecente, resta un lungometraggio fondamentale per l’evoluzione adulta dell’animazione e uno storico manifesto della controcultura, mentre il tentativo goliardico di Gibba si rivela fallimentare su tutta linea, perché non è un vero atto iconoclasta contro la purezza delle fiabe, ma è semplicemente una birichinata erotica atta al semplice sollazzo. E non è nemmeno realmente trasgressiva, perché se la brutta strega Merlina viene mostrata nella sua totale nudità, lo spropositato membro del nano Pipolo permane sempre dentro la calzamaglia, anche durante le scene di sesso. Per tanto Il nano e la strega alle prime battute si segue con interesse e divertimento, proprio perché oggetto inusuale (con riferimento all’epoca in cui venne realizzato), ma con l’avanzare della storia ci si stanca rapidamente, per le ripetizioni delle situazioni (i ripetuti tentativi della strega Merlina di farsi Pipolo) e un’eccessiva grossolanità dei dialoghi, con battutacce che quasi mai colgono nel segno. Anzi, i dialoghi, scritti in rima da Oreste Lionello ed Enrico Bomba, a tratti fanno sembrare il cartoon uno di quegli infimi decamerotici che, per dar un alone di letterarietà al prodotto, inanellavano una serie di battute scritte alla maniera di Boccaccio. È un peccato che quest’ardito esperimento cartoonesco si sia rivelato un flop artistico, anche perché Gibba, alias Francesco Maurizio Guido (1924-2018) è stato uno dei pionieri dell’animazione nostrana, e opere come L’ultimo sciuscià (1946) o La rosa di Bagdad (1949) certificano le sue spiccate doti d’animatore. Eppure quel raro e fallimentare tentativo di animazione adulta è riuscito ad affascinare qualcuno, perché fu poi chiamato per creare i visionari spezzoni d’animazione dei film per adulti … E tanta paura (1976) di Paolo Cavara e di Scandalosa Gilda (1986) di Gabriele Lavia.

Roberto Baldassarre

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