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(Re)Visioni Clandestine #26: Maccheroni

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Maccheroni scotti

Maccarone, m’hai provocato
e io ti distruggo adesso,
maccarone! Io me te magno…!
(Nando Mericoni, Un americano a Roma)

Gli accattivanti maccheroni che avevano stuzzicato Nando Mericoni ritornano oggetto seducente nel mesto finale dell’omonima pellicola di Ettore Scola. Non a caso tra gli sceneggiatori di Un americano a Roma (1954) di Steno c’era proprio un giovanissimo Scola. Chissà se fu lui a ideare quell’indimenticabile scena; però ecco che nel 1985 recuperò il maccherone, uno dei sublimi tipi di pasta italiana, per “basarvi” una commedia amarognola di amicizia ambientata nella Napoli degli anni Ottanta. La pietanza filmica che offre Ettore Scola nelle intenzioni è ricca, avendo come attori protagonisti l’inusuale coppia d’attori Jack Lemmon e Marcello Mastroianni, eppure… La pellicola Maccheroni è una cocente delusione. Utilizzando il titolo, si potrebbero fare battute culinarie per definirne la qualità: “Maccheroni scotti”, “piatto di Maccheroni insipidi”, “ingredienti sbagliati in questi Maccheroni” e via discorrendo. Tali titoli, usuali nei quotidiani che devono apporre sempre un richiamo accattivante, purtroppo calzano bene. L’alchimia del trio (regista e attori) non ha funzionato, e il film fluisce sullo schermo come se niente fosse accaduto veramente.

Maccheroni sembra una pellicola stanca, di un regista che aveva già detto tutto sull’Italia e ormai ripete solamente se stesso. Eppure due anni dopo, Scola realizzò il grande affresco La famiglia (1987), di ben altra caratura. Il problema principale di Maccheroni risiede semplicemente nella sceneggiatura, scritta da Scola, Maccari e Scarpelli. Script formidabile in molti dialoghi (si prenda ad esempio la metafora delle prove tecniche dell’aereo confrontata con la vita umana) ma carente in una capace descrizione dei due personaggi e della città di Napoli. I due anziani personaggi sono le usuali figure agli antipodi: se Robert è pragmatico (glissa su una domanda di una giornalista sulla sua biografia) ed è stato capace di andare avanti, Antonio è rimasto attaccato a un idilliaco passato (come attestano le finte lettere di Robert scritte alla sorella). Questi due atteggiamenti differenti, comuni nei buddy buddy movie (nella primissima parte Antonio in sostanza è un rompipalle), restano in superficie, per poi scomparire lentamente in un finale che diviene inno all’amicizia. Sono pochissime le scene in cui si nota il tocco profondo di Ettore Scola, come ad esempio nella scena del pre-finale, in cui il regista riesce a ritrovare il tatto filmico adeguato, sapendo dosare l’emozione, a cui si aggiunge la bravura dei due attori, che finalmente trovano il giusto equilibrio recitativo. Sullo sfondo di questo inno all’amicizia, appare Napoli. La città partenopea non ha la funzione di semplice fondale, ma diviene quasi sineddoche dell’intero paese Italia degli anni Ottanta. Ettore Scola non abbellisce completamente Napoli abbellita, perché cerca di mostrarcela con i suoi problemi quotidiani, ad esempio il grottesco traffico napoletano o la camorra (benché argomentazioni rappresentate in modo velleitario), però non riesce ad evitare i dozzinali luoghi comuni sulla città campana, come la presenza del presepio, l’intonazione della canzone napoletana oppure il babà, come attesta la scena in cui Mastroianni decanta a Lemmon un “ode” al maxi super babà tipico di Napoli.

Roberto Baldassarre

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