Alla ricerca di nuove immagini mancanti
Rithy Panh torna alla forma del film di fiction, raramente percorsa nella sua filmografia fatta prevalentemente di documentari – anche se la definizione documentario per molte sue opere appare limitativa – con Rendez-vous avec Pol Pot, presentato al Festival di Cannes 2024 nella sezione Cannes Premiere. Il regista franco-cambogiano recupera così l’acume delle sue migliori opere all’interno di una carriera che sembrava in declino visti gli ultimi lavori. Con Irradiés ed Everything Will Be OK, infatti, i suoi film precedenti, Panh si perdeva in una sorta di confuso ritratto di tutti i mali dell’umanità. Mentre torna a grandi risultati riprendendo, come già dal titolo, l’ossessione principale che muove il suo cinema, ovvero il genocidio perpetrato dal regime di Pol Pot negli anni Settanta, e lo fa nella forma della fiction alla Un anno vissuto pericolosamente. Rendez-vous avec Pol Pot si ispira liberamente al libro “When The War Was Over” della giornalista Elizabeth Becker, il racconto della sua visita, nel 1978 insieme ad altri giornalisti – nella finzione del film sono tutti e tre francesi – nella Kampuchea Democratica, invitati dai Khmer Rossi per intervistare il dittatore Pol Pot. Da un estratto di quel libro Rithy Panh aveva già realizzato il documentario Bophana, une tragédie cambodgienne.
L’autore torna a ragionare sulle immagini, sulla loro diversa filigrana e consistenza, sulla loro connessione con chi le ha prodotte, sul loro essere portatrici o meno di verità. Idealmente Rendez-vous avec Pol Pot si costruisce sugli stessi concetti di L’immagine mancante, di cui vengono ripresi i diorami con le statuine, laddove il contesto da film di finzione aumenta e complica l’intelaiatura del film precedente. In uno schermo di aspect ratio 4/3 Rithy Panh costruisce una nuova trama dove si inscrivono tanto le scene di finzione, ricostruite, che i filmati di repertorio, come un nuovo tessuto connettivo, come un nuovo raccordo tra quelle statuine da presepe e le immagini d’archivio che non necessariamente, per il fatto di essere reali, sono vere. Al contrario riflettono l’ideologia di chi le ha prodotte così come quei ritratti del dittatore che si vedono nel film, che devono essere onnipresenti negli spazi pubblici, per alimentare il culto della sua persona come è tipico di ogni regime autoritario. Alla ricerca delle immagini mancanti sono nel film i giornalisti, le loro riprese interne come quelle del fotoreporter Paul, a eccezione di Alain, inossidabile nella sua ideologia, per il quale le immagini preesistenti sono più che sufficienti.
Lo scarto è già quello tra le diverse posizioni dei tre giornalisti ospiti, le oscillazioni di alcuni di loro, e i tentativi del regime cambogiano, rappresentato dal diligente burocrate rassicurante, di malleare, edulcorare quando non censurare il loro punto di vista, sostenendo una risibile versione di facciata, anche in risposta alle domande pungenti della giornalista protagonista. Nella penultima scena del film, uno dei giornalisti viene ucciso, mentre la protagonista si salva nascondendosi in una vasca da bagno, colpito da soldati di cui si vedono solo le ombre, come pure solo in ombra e di spalle si vede lo stesso dittatore Pol Pot. Ancora immagini mancanti comunque capaci di sparare e uccidere come di ordire un genocidio.
Giampiero Raganelli