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Rapaces

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VOTO: 8

Dentro la cronaca (nera)

C’è modo e modo di trattare il genere: c’è chi permette a questo di prendere il sopravvento e sovrastare le tematiche trattate e chi, al contrario, se ne serve per affrontare argomentazioni scomode e dal peso specifico rilevante, raggiungendo un giusto equilibrio. Uno di questi è Peter Dourountzis, che nella sua seconda fatica dietro la macchina da presa, Rapaces (Vultures), dimostra come l’uno possa essere messo al servizio dell’altro senza che si fagocitino a vicenda.
La pellicola in questione, presentata in concorso alla 35esima edizione del Noir in Festival, segna il suo ritorno alla regia dopo cinque anni di pausa dall’esordio con Vaurien, film su uno stupratore e serial killer interpretato da Pierre Deladonchamps. Anche in quel caso, il cineasta parigino prima di entrare nelle dinamiche più dichiaratamente di genere, quelle crime e serial-thriller, aveva approfondito la figura ambigua del protagonista attraverso uno studio di natura psicologica e/o antropologica al limite del documentarismo di essa e della società nella quale questa viveva e portava a termine le sue efferate e ignobili azioni. Il tutto attraverso l’osservazione del quotidiano e in maniera assolutamente neutrale, sospendendo il giudizio. Lo stesso modus operandi che ritroviamo nell’approccio alla materia, al soggetto di turno e al genere di Rapaces che ci porta al seguito di Samuel, giornalista, e Ava, sua figlia e stagista. I due vengono incaricati dallo loro rivista di occuparsi del caso dell’uccisione di una ragazza aggredita con l’acido. Colpito dalla brutalità dell’omicidio e dall’interesse della figlia per il caso, Samuel decide di condurre un’indagine indipendente, all’insaputa dei suoi redattori, e scopre inquietanti somiglianze con l’omicidio di un’altra donna.
Nel film scritto a otto mani con Christophe Cousin, Christophe Cantoni e Fabianny Deschamps, la componente thriller si manifesta gradualmente per assumere toni predominanti e dirompenti solo a un’ora circa dall’inizio. Scelta, questa, che potrebbe fare storcere il naso ai puristi del genere, ma che a conti fatti si rivela uno dei valori aggiunti dell’operazione. Piazzato a un momento preciso della timeline, una volta innescato, il detonatore thriller produce nell’architettura narrativa e drammaturgica una potente esplosione di suspense, tensione e azione che travolge lo spettatore offrendo una seconda parte al cardiopalma, con il termometro che tocca l’apice nella scena del ristorante e dell’inseguimento notturno in autostrada.
Prima del suddetto tourning point, la scrittura e la messa in quadro si concentrano sulle tematiche e sui personaggi, esplorando simultaneamente le pratiche e i rischi del mestiere del giornalista d’inchiesta (la mente torna a Il caso Spotlight), il confronto generazionale (sia in campo professionale che familiare tra Samuel e Ava) e l’attualità di argomentazioni complesse e drammatiche come la violenza di genere e il femminicidio. Tutto questo “magma” incandescente finisce con il penetrare e diventare parte integrante di una pellicola coinvolgente, che oltre a scrittura e regia solide può contare anche sulle efficacissime performance di un variegato e qualitativamente elevato cast, dove hanno trovato posto attori e attrici come Sami Bouajila (Samuel), Mallory Wanecque (Ava), Jean-Pierre Darroussin (Christian) e Valérie Donzelli (Solveig).

Francesco Del Grosso

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