Matti da legare
Grande protagonista di questa ventiquattresima edizione del Far East Film Festival, il filippino Erik Matti; un cineasta a volte fin troppo “disinvolto”, la cui vena creativa sta però migliorando man mano che passano gli anni, come si è soliti dire del vino buono.
E dopo averci regalato quello che a nostro avviso può essere considerato il miglior film da lui realizzato finora, ovvero l’ottimo On the Job 2: The Missing 8 proiettato fuori concorso nel primo giorno della kermesse friulana, il vulcanico film-maker asiatico è tornato alla carica con una sorta di “horror pandemico” non privo di spunti interessanti. Anzi, considerando la media delle produzioni cinematografiche sia italiane che straniere inerenti in qualche modo all’epidemia di Covid, con le quali ci siamo fino adesso confrontati, il suo Rabid spicca senz’altro per trovate non banali e sottile ironia.
Diciamoci poi la verità: allorché sostenuta da contenuti e approcci di qualità, talora anche da qualche tratto originale, la struttura del film a episodi evoca in noi amanti dell’horror sensazioni conturbanti e piacevoli. Tra l’altro uno come Erik Matti non è certo nuovo a questa formula, avendo partecipato anche a film collettivi orientati in tal senso…
In questo caso tutti e quattro suoi i cortometraggi horror che compongono Rabid. Di differente valore, magari, ma ognuno con un suo motivo di interesse. E possiamo subito affermare che a esserci piaciuto più di tutti è proprio il primo. “Siamo gli unici sfortunati” (sia qui che più avanti intendiamo privilegiare la traduzione italiana dei titoli filippini, per maggior semplicità espositiva), in cui all’interno di un contesto sociale già avariato di suo in quanto condizionato dalla pandemia e dal forzato isolamento dei nuclei famigliari viene introdotto un tema estraneo (ed estremo, sicuramente), ossia certi oscuri rituali di magia nera. Notevolissimo l’impatto del fantastico nella routine apparentemente così ordinaria della famiglia in questione. Ma è anche il senso di diffidenza reciproca introdotto dalle restrizioni pandemiche ad irrompere fragorosamente nella narrazione.
Del resto in tutti e quattro gli episodi il cineasta filippino è abile a far emergere dubbi sulla natura stessa di certe “buone azioni”, maturate in modo contraddittorio e infelice all’interno di una società ormai allo sbando. Naturalmente con ampie concessioni ad uno humour nero, il cui disincanto di fondo colpisce (quasi) sempre nel segno. Forse più piatto come struttura drammaturgica è il secondo episodio, “Non c’è niente di meglio della carne”, che riesce comunque a parafrasare il prolifico filone zombie introducendo qualche nota originale in un set persino elegante, considerata qui la resa del bianco e nero.
A dir poco strepitoso è invece il terzo episodio, “Le disgrazie capitano”: sadica, folle, inquietante e a tratti disgustosa avventura di un’infermiera molto poco attenta, sbalzata da un piano dimensionale all’altro, nei corridoi di un ospedale dove la recente piaga del Covid ha reso ancora più precaria (e qui la denuncia sociale di Matti è evidente) l’assistenza agli anziani. Per finire l’iperbolico “HM”. Dei contenuti di questo quarto cortometraggio non intendiamo rivelarvi un granché, sappiate però che dopo averlo visto non ordinerete più cibo su internet con lo stesso spirito…
Stefano Coccia