Candido e la mafia
Herbert Ballerina come Checco Zalone? Negli auspici di Medusa – produttrice e distributrice del film che consacra al ruolo di protagonista il commediante cresciuto nella factory di Maccio Capatonda, cioè Quel bravo ragazzo – le analogie realizzative appaiono evidenti. In primo luogo uno script, a cui ha contribuito lo stesso Ballerina (al secolo Luigi Luciano), composto di una comicità basica, tutta al servizio della star per l’occasione nonché lontano in modo opposto dagli intenti satirici del “mentore” Capatonda. Ulteriore similitudine quella di radunare un cast di assoluto rispetto (Tony Sperandeo, Enrico Lo Verso, Daniela Virgilio e Ninni Bruschetta, più un cameo invero piuttosto sottotono dello stesso Maccio Capatonda/Marcello Macchia) a fare da degne spalle al presunto mattatore, attraverso una regia di assoluto servizio come quella orchestrata da Enrico Lando, dal chiarissimo sentore televisivo al pari dei vari Gennaro Nunziante e compagnia. L’unica differenza sostanziale risiede proprio nelle peculiarità dell’interprete: la consapevolezza del personaggio da parte di Zalone – espressa in modo esplicito soprattutto nel recentissimo Quo vado? – in Quel bravo ragazzo cede il posto all’ingenuo candore di Leone (Ballerina, appunto), ragazzotto ultratrentenne sbalzato, a seguito del desiderio sul letto di morte di un padre mai conosciuto, dalle sicurezze di un orfanotrofio parrocchiale del Sud Italia a comandare una mafia siciliana invero assai più cartolinesca che feroce.
La garbata presa in giro dell’universo criminoso non è esattamente roba nuova e funziona a corrente alternata. Mentre si ammette più che volentieri la bravura di Herbert Ballerina nel riprodurre con geometrica esattezza la stupefatta stolidità di alcuni personaggi cui ha dato vita sia in Italiano medio – l’amico del protagonista Alfonzo Scarabocchi, poi ripudiato nel talent show finale – che in molte delle parodie rintracciabili online assieme a Capatonda. Ciò premesso, il più appariscente difetto di Quel bravo ragazzo, come al solito, è rintracciabile nell’assoluta mancanza di cattiveria. Troppo buonismo, in un lungometraggio che vorrebbe raccontare il fenomeno mafioso sia pure da una prospettiva dichiaratamente leggera, finisce con l’incanalare il film in una dimensione di retroguardia già in partenza. Messo (inevitabilmente?) a confronto, ad esempio, con il Johnny Stecchino (1991) di benignana memoria, quest’ultimo fa la figura di una sfavillante opera scorsesiana, tanto violenza e sangue – per riderci sopra, ovviamente – risultano praticamente assenti nella versione all’acqua di rose della quale si sta dissertando. La televisione si fa cinema senza coraggio, certamente per non urtare troppo la pigrizia mentale del pubblico da piccolo schermo, ormai irrimediabilmente drogato di politically correct. Per chi si accontenta ecco dunque una nuova stella che, nel passaggio al ruolo principale, ha visto neutralizzarsi in modo programmatico ogni caratteristica potenzialmente eversiva da “idiota modello” gettato senza pudore alla ribalta di un potere in teoria ad alto tasso di criminalità.
Nonostante tutto ci auguriamo che Quel bravo ragazzo incassi in maniera dignitosa, ben consapevoli che gli sfracelli al botteghino del buon Zalone rimarranno un miraggio ineguagliabile, non fosse altro per la sproporzione del numero di copie in distribuzione. Ciò perché Herbert Ballerina meriterebbe altre possibilità per esprimere al meglio il suo innegabile talento. Magari non sotto la guida di produzioni incapaci di distinguere tra cinema e televisione, oppure di registi anonimi come Enrico Lando, non a caso deus ex machina del passaggio dei famigerati I soliti idioti dal piccolo al grande schermo senza che alcuna differenza fosse minimamente percepita dal pubblico di riferimento. Il quale infatti è sempre stato considerato il medesimo, mentre i due mondi continuano ad essere, tranne rare eccezioni, assai distanti. Solamente in Italia, s’intende…
Daniele De Angelis