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Psychomentary

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VOTO: 7

Sequestro a scopo di vendetta

Tra le scoperte più positive di questa edizione del Fantafestival, rivelatasi così vivace, c’è da annoverare senz’altro Psychomentary di Luna Gualano. E lo diciamo nonostante quei problemi tecnici avvenuti durante la proiezione, contrattempo che purtroppo al cinema Barberini si è reiterato più volte, il cui impatto sulla visione è stato quantomeno seccante, sia per gli spettatori che per il cast presente in sala. Ma soffermarsi troppo su ciò sarebbe come svilire l’interesse creato in noi da tale produzione cinematografica. Nel lungometraggio della Gualano si compie infatti un piccolo miracolo: il convergere da un lato di uno spericolato citazionismo sovrapposto alla parafrasi dei filoni più gettonati dell’horror contemporaneo, e dall’altro di un approccio tematico in cui risaltano considerazioni ferocemente amare sul degrado della società italiana.
In Psychomentary la forma è perciò totalmente al servizio della storia che si vuole raccontare. Sennò può essere che avremmo mal digerito l’ennesimo film in cui il punto di vista dello spettatore coincide, in maniera pressoché totale, con quello delle riprese effettuate da uno o più personaggi. Ma qui l’agire di un protagonista alla ricerca di truculente vendette appare del tutto integrato col complesso meccanismo, da lui messo a punto per attuarle: il rapimento di una decina di persone tra cui la figlia di un senatore si poggia, grazie a un piano studiato nei minimi particolari, sia su un sapiente utilizzo del web che sullo sguardo decisamente indiscreto di videocamere disposte nei più svariati luoghi. Compresa quella stazione di polizia dove l’antagonista del killer, un commissario apparentemente integerrimo che però potrebbe avere pesi non indifferenti sulla coscienza, riceve tutte le comunicazioni relative ai sequestri senza sapere di essere nel frattempo spiato. Del resto il rapitore sembra volersi prendere una rivincita, rispetto a qualche grave torto subito in passato. E se le sue azioni sono di certo poco giustificabili, nella loro efferatezza, risulta altrettanto difficile empatizzare con autorità come quelle di polizia, la cui pretesa di seguire un iter legale e magari persino giusto si incrina di fronte alle tante ipocrisie, e ad atti di deliberato cinismo: in fase di scrittura colpisce nel segno quel deprecabile perbenismo, che porta i poliziotti a sacrificare immigrati e puttane pur di salvaguardare l’incolumità di altri cittadini, ritenuti più integrati se non addirittura “importanti”.
Con a sostegno un cast tecnico e attoriale mediamente giovane, ma preparato, la Gualano ha dimostrato di poter sviluppare questo teorema cinematografico sulla visione e sul sociale senza particolari incertezze, pur avendo a disposizione mezzi tutto sommato modesti. Come si diceva prima alla giovane regista il gusto della citazione e la cultura del genere non mancano di sicuro. Si va da situazioni che riecheggiano la saga di Saw – L’enigmista a crudeltà compiute di fronte alla videocamera, che possono addirittura ricordare Seed di Uwe Boll. Senza contare la litania stile “se fate questo la figlia del senatore muore” che, ripetuta dal rapitore con tutte le varianti del caso, avrà fatto venire in mente a molti le analoghe richieste, riferite al Presidente degli Stati Uniti in 1997 – Fuga da New York. Questo apparato citazionistico in certi momenti rischia di appesantire un po’ troppo il film. Ma nell’insieme il sadico giochino regge e tiene desta, fino alle battute finali, una morbosa curiosità.

Stefano Coccia

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