La dignità della libertà
«Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo che ha bisogno
di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio
solamente nella sua democrazia»
Si può pensare che per Pippo Fava la sua democrazia fosse la vocazione a dire la verità. Partecipando alla visione di Prima che la notte, diretto da Daniele Vicari, vengono in mente queste parole del noto brano di Gaber (che si sommano magari con “Io sono un uomo libero” di Adriano Celentano) perché sì, si vorrebbe essere liberi proprio come quell’uomo che ci ha appena parlato così direttamente rivivendo sullo schermo. A dar volto, corpo, anima e silenzi a Pippo Fava è un immenso Fabrizio Gifuni. Le prime immagini ci portano subito a ciò per cui viveva Fava: «l’irrinunciabile primato della verità» declinato attraverso scrivanie, macchine da scrivere e, in particolare negli ultimi anni, i post-it lasciati ai suoi ragazzi cosicché potessero trovare le indicazioni al loro arrivo in redazione. Poi la cronaca e la disumanità irrompono a spezzare tutto questo, ma ci preme dirlo anche se la struttura narrativa può sembrare classica per via di un salto indietro nel tempo, tutta la storia si dipana con un ritmo elevato, coinvolgente, che ha il sapore di un’esistenza autentica restituita con un’onestà intellettuale disarmante sullo schermo.
Le note di “Call me” di Blondie cominciano a scandire il mood – sempre in up – mentre guardiamo il rientro di Pippo Fava nella sua Catania, è come se quella città l’avesse richiamato a sé, ancor più in un momento in cui il sottobosco di mafia (e non solo) andava fatto emergere, mettendolo nero su bianco. «Non so se questa città la conosco ancora», afferma a un tratto. Lui quella città riusciva a scavarla più di chiunque altro, svelandone la maschera e per farlo si è circondato di ragazzi, non solo perché suoi colleghi professionisti non avevano aderito all’invito, ma i carusi possedevano il desiderio di imparare e la purezza di chi si affaccia e scava senza filtri essendo lontani da certe dinamiche di potere. Uno dei punti di forza della sceneggiatura scritta da Claudio Fava, Michele Gambino (i due sono interpretati rispettivamente da Dario Aita e Carlo Calderone), Monica Zapelli e dallo stesso Vicari è l’attenzione a rappresentare tutte le varie voci, anche quella di chi non sposava l’ottica del giornalista con la schiena dritta. A Fava viene affidata la direzione di un prestigioso quotidiano, con l’apparente libertà di decisione sui contenuti; quando questi dimostra di non voler chinare la testa, sceglie un’altra, quella più scomoda: creare un altro giornale, I Siciliani, con i carusi. Come tutto ciò avvenga e la conclusione di questa storia – che non coincide con la morte – vi consigliamo di scoprirlo in Prima che la notte, un film che riesce a trasportare ogni singolo spettatore in quello che era il lavoro sul campo, compartecipando a quello di redazione (resa materia viva e credibile, oltre ai già citati, da Federico Brugnone, Simone Corbisiero, Selene Caramazza, Beniamino Marcone, Davide Giordano, Roberta Rigano, Manuela Ventura, Marco Iannitello).
Fabrizio Gifuni, forte degli insegnamenti del suo maestro Orazio Costa (metodo mimico), del percorso artistico anche di auto-drammaturgia realizzato per il teatro e di una capacità affabulatoria e sensibilità all’ascolto non comuni, veste i panni di Pippo Fava andando a coincidere con quell’uomo-artista, restituendone la sana ironia, le contraddizioni così come il profondo affetto verso il figlio Claudio e quei ragazzi in cui aveva instillato l’amore per la verità. Post visione sorge spontaneo arrivare a pensare/azzardare che nessun altro, al di fuori di questo attore, avrebbe potuto restituirlo così.
Vicari, con una regia che pone al centro l’uomo e il suo ruolo nella società stando alla larga da sentimentalismi (lo stesso rapporto con l’ex moglie, a cui dà volto Lorenza Indovina non è idealizzato, ma svela Fava pure nei suoi errori), confeziona un’opera che si allontana dall’idea di biopic (tanto più quelli realizzati spesso e volentieri per il piccolo schermo). «Non è il “bene” contro “il male”, questa è una falsa dicotomia che inchioda l’analisi delle vicende di mafia alla superficie. È soltanto la ragione e la passione per gli esseri umani contro la ferocia del potere. La ragione di un uomo molto umano, cioè pieno di contraddizioni, di magagne, di debolezze, ma anche di talenti e slanci emotivi, un uomo che ha lasciato una traccia di sé molto profonda nella coscienza collettiva, e che sopravanza di gran lunga l’infima statura di chi lo ha ucciso e fatto uccidere», ha evidenziato giustamente il cineasta nelle note di regia.
Non esistono cliché né santini da celebrare, ma un uomo e artista poliedrico (pure drammaturgo e pittore) e scomodo per il suo tempo – e chissà se non lo sarebbe oggi – poiché rilanciava questa domanda a se stesso e agli altri: «A che serve essere vivi se non si ha il coraggio di lottare?».
Al termine della visione la pelle d’oca è tanta per la commozione provocata da un film che sa comunicare cosa voglia dire essere un giornalista con la schiena dritta, ci si sente piccoli di fronte al tanto coraggio (a posteriori qualcuno direbbe incosciente) di vivere e seguire la propria vocazione, nutrendo a propria volta il desiderio di farlo.
Presentato in anteprima mondiale al Bif&st – Bari International Film Festival 2018, Prima che la notte è trasmesso da RaiUno il 23 maggio in occasione della “Giornata della Legalità”.
Maria Lucia Tangorra