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Povere Creature!

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VOTO: 9,5

Cicatrici sullo schermo

Povere Creature! E poveri spettatori! Già sui titoli di coda di un film come l’ultimo di Lanthimos è lecito restare attoniti. A bocca aperta. Senza parole. Ammutoliti e quasi storditi da un’esperienza spettatoriale totalizzante, unica nel suo genere, capace in egual misura di stregare lo sguardo e di stimolare l’intelletto attraverso una serie di interrogativi etici, filosofici, esistenziali, mai superflui o scontati. Quest’ultimo aspetto, a ben vedere, è del tutto coerente con l’autore de Il sacrificio del cervo sacro e con la sua ormai nota poetica…
C’è da immaginare poi che nel nostro caso l’effetto sia stato ancora più forte, dirompente, poiché abbiamo avuto la fortuna di recuperare tale visione in un cinema di Roma, il Quattro Fontane, dove era ancora possibile (speriamo naturalmente che tale possibilità vi sia ancora, lì o altrove) confrontarsi con la versione in lingua originale, proiettata in pellicola 35 mm. Una scelta, quella della versione originale coi sottotitoli, che è innanzitutto forma di rispetto per la gran classe esibita dai vari interpreti, indimenticabili già sotto il profilo fisiognomico (anche soltanto il trucco cui hanno sottoposto il volto di Willem Dafoe è rappresentazione cartografica di un animo frantumato, spinto ad essere anaffettivo da un’educazione crudele), ma strepitosi soprattutto nel dare all’intonazione di ogni frase e alla durata di ogni silenzio la valenza di una coltellata all’addome. Per quanto riguarda poi l’occasione, sempre più rara, di vedere un film in pellicola, nel caso di Povere Creature! sono quei cromatismi esasperati a tenere banco, ad “alzare la voce”, descrivendo un universo lisergico ed estremamente polarizzato anche nella scelta dei colori, all’interno del quale è soltanto lo stupore ad avere diritto di parola.

Già Leone d’oro all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, successivamente Golden Globe per il miglior film commedia o musicale e Golden Globe per la migliore attrice in un film commedia o musicale (assegnato per inciso a una magnetica, strepitosa Emma Stone), Povere creature! (Poor Things, 2023) è in effetti un’opera che non si nasconde, che mette in scena tutto il suo sfarzo scenografico e l’incredibile apparato formale per l’ardita destrutturazione di un disagio profondo, ben radicato nei meandri di una società occidentale in perpetua oscillazione tra deleterio “scientismo” e crisi di valori acclarate, tra soffocanti tendenze classiste e qualche estemporaneo impulso di ribellione, tra pietismo ipocrita e progressivo distacco da una cultura umanistica ormai in frantumi.
Traendo ispirazione, molto liberamente, dall’omonimo romanzo pubblicato nel 1992 dallo scrittore britannico Alasdair Gray, sia un Maestro come Yorgos Lanthimos che lo sceneggiatore australiano Tony McNamara (già al fianco del cineasta ellenico per La Favorita) si sono adoperati affinché la pagina scritta diventasse una sfilata di carri allegorici, posta a ridosso di vicende tanto beffarde quanto crudeli.
Ne è protagonista lei, Bella Baxter a.k.a. Victoria Blessington, una “creatura di Frankenstein” al femminile cui lo stesso Willem Dafoe ovvero dott. Godwin “God” Baxter ha ridato un cervello (mal)funzionante, mentre sarà proprio un’interprete sopraffina come Emma Stone a darle strada facendo anche un’anima.
Approcciata e contesa da differenti modelli maschili, a partire dal già menzionato “mad doctor” suo padre padrone per passare poi all’eterno indeciso Max McCandles (Ramy Youssef), stazionare a lungo presso il ruffiano, libertino Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) e prendersi infine un’agognata, catartica rivincita nei confronti del sadico, oppressivo Alfie Blessington (Christopher Abbott), la nostra fosca eroina solo a livello epidermico può essere considerata la nuova “icona femminista” di un’epoca tendenzialmente monocromatica, come la nostra; allorché lo sguardo decisamente più lucido, penetrante di Yorgos Lanthimos la rende più che altro un coacervo di pulsioni naturali, più o meno sane, in balia però di quelle forme coercitive e di quei condizionamenti quasi subliminali cui la fatiscente società che la circonda vorrebbe farla sottostare, con le buone o con le cattive.

Come elementi di un carillon, i personaggi in questione si muovono perfettamente sincronizzati con la cornice che li racchiude: uno sfondo incredibile, stupefacente, coerente anch’esso a livello iconografico con le ipocrisie vittoriane e i tristi simulacri della Rivoluzione Industriale di cui si alimenta, tutti aspetti dirottati però (attraverso i cromatismi acidi, sgargianti della fotografia) verso una rappresentazione archeo-futurista di capitali come Londra e Lisbona, dai risvolti immaginifici e con una forte impronta steampunk. La rocambolesca narrazione che ha luogo entro tale cornice, avviata dall’abominevole esperimento condotto su un corpo femminile martoriato dal “mad doctor” di turno, prende a sua volta il taglio di un’irresistibile ibridazione che fonde via via un viaggio alla scoperta di sé, del mondo e delle sue intime contraddizioni, espresse attraverso modalità tanto surreali quanto orripilanti, con l’impianto filosofico di un racconto esemplare, che a noialtri ha ricordato per certi versi il Candido di Voltaire e quel peculiare modo di rapportarsi a realtà spesso intollerabili. Quando cioè la cultura illuminista agli albori, così distante dallo scientismo deviato di oggi, sapeva contrastare ed esorcizzare gli orrori del mondo… non contribuire a crearne di nuovi.
Resterebbe tanto da dire, su un così elaborato impianto formale, per brevità ci limitiamo a segnalare l’impatto altrettanto sconvolgente della colonna sonora, più in particolare le musiche del compositore britannico Jerskin Frendrix per la loro capacità di generare, su immagini già così stranianti in partenza, ulteriori  tracce disturbanti e ossessive.

Stefano Coccia

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