L’amico giapponese
Nella lunga e corposa filmografia di Wim Wenders, iniziata a fine anni Sessanta, ci sono viaggi, paesi e culture cui torna spesso, parte di un proprio atlante sentimentale. Ovviamente gli Usa, anche come patria cinematografica, Lisbona e Cuba, gli estremi tra vecchio e nuovo mondo, e poi il Giappone. Finora il cineasta aveva toccato il paese del sol levante con i documentari Tokyo-Ga e Appunti di viaggio su moda e città, e poi con una tappa del, falso, movimento di Fino alla fine del mondo. Wenders torna in Giappone con Perfect Days, presentato in concorso a Cannes 2023.
Il film segue il personaggio di Hirayama, interpretato da uno dei volti più noti del cinema giapponese quale Koji Yakusho, un personaggio taciturno che vive una dimensione tutta sua, quasi ascetica, che rifiuta la tecnologia moderna e il digitale, usa audiocassette e macchina fotografica su pellicola, ascolta Lou Reed, Nina Simone, Van Morrison e Patti Smith, si emoziona con le immagini della natura. La sua giornata perfetta si snoda andando a pulire i bagni pubblici. Non sembra nemmeno una cosa degradante perché le toilette di Tokyo hanno un design futuristico, progettate da grandi architetti.
Del Giappone Wenders vuole abbracciare le due diverse velocità. La città ultramoderna da un lato, e dall’altro una sorta di dimensione zen di contemplazione della rarefazione e del vuoto che si esprime per esempio nel gioco semplice del tris, oppure nell’antico pathos delle cose, come gli aceri d’autunno. Tutte cose che Wenders aveva già cercato nei suoi documentari, il paese di Ozu come dello stilista Yohji Yamamoto. Il cognome del protagonista, Hirayama, torna peraltro in alcuni film del Maestro giapponese, come Il gusto del sakè e Fiori d’equinozio. All’epoca di Tokyo-Ga, un importante intellettuale giapponese come Shigehiko Hasumi, anche autore di una monografia su Ozu, accusava Wenders di superficialità, di non aver saputo andare oltre l’apparenza della cultura giapponese ma di essere rimasto al livello di turista. Potremmo dire lo stesso di Perfect Days se non fosse che al film, che è una fiction, non è certo richiesta un’analisi dell’autentica anima nipponica.
A ben vedere nel personaggio di Hirayama torna tanto cinema di Wenders, che in Giappone compie un altro falso movimento per ritrovare sé stesso. Il personaggio è mostrato nelle cure corporali, nel lavarsi i denti, e si occupa di ciò che è deputato a bisogni fisiologici, ovvero tutti quei tempi morti del cinema che esibiva con Bruno in Nel corso del tempo. Vive in una dimensione altra, da cui guarda e scruta l’umanità come gli angeli di Il cielo sopra Berlino e, come quel film, Perfect Days è una sinfonia metropolitana. In definitiva nel protagonista Wenders versa molto del suo cinema e di sé stesso, con una colonna sonora anche molto stucchevole, a partire da The House of the Rising Sun, che sa toccare le corde giuste di chi ha già da un po’ passato la ventina.
Giampiero Raganelli