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Pauline s’arrache

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VOTO: 7

La principessa del castello

Tra i dieci titoli presentati alla seconda edizione delle Giornate del Cinema Europeo Contemporaneo di Milano, il compito di rappresentare la cinematografia francese é toccato a Pauline s’arrache di Emilie Brisavoine che, a distanza di due anni dalla  prima apparizione pubblica all’ACID di Cannes e alla successiva partecipazione nel concorso del Geneve International Film Festival Tous Ecrans, è approdato in anteprima italiana nel programma della manifestazione meneghina, come unico documentario presentato in selezione.
Quello scritto, diretto, montato e prodotto dalla regista transalpina, è un autentico e viscerale viaggio personale e intimo nella vita movimentata di Pauline, una quindicenne dal carattere di fuoco, sorellastra dell’autrice che l’ha seguita con la sua videocamera per quattro anni. La protagonista è la più giovane di una famiglia ricostituita, capitanata da una mamma (ex regina della notte) e un papà (gay amante dei travestimenti eccentrici e sfavillanti) atipici, frutto di un amore che non riflette di certo la rassicurante “norma”. Tutti i membri del clan hanno abbandonato la nave, tranne Pauline che rimane ancora legata alla famiglia da un cordone ombelicale al contempo rassicurante e terrificante. La coabitazione tra i genitori e la figlia superstite è esplosiva e conflittuale malgrado un rapporto a tratti fusionale. La voglia di cambiare vita e di affrontare di petto un futuro per lo meno incerto non le manca di sicuro, ma prima di volare con le proprie ali Pauline deve affrontare i dolorosi fantasmi del passato.
La prima prova dietro la macchina da presa della Brisavoine, conosciuta dagli addetti ai lavori come attrice in film indipendenti quali La bataille de Solférino di Justine Triet e il cortometraggio Peine perdue d’Arthur Harari, ha nel suo DNA drammaturgico due anime ben distinte e parallele che finiscono innumerevoli volte nel corso della timeline con il mescolarsi senza soluzione di continuità. Ed è proprio questa pacifica coesistenza, capace di generare nel fruitore di turno momenti di grande empatia con la protagonista, a rappresentare la forza dell’opera. Pauline s’arrache ci catapulta senza se e senza ma nell’esistenza e nella quotidianità di una ragazza e del suo nucleo familiare. Di conseguenza, la pellicola è al tempo stesso il classico romanzo di formazione adolescenziale da una parte e l’altrettanto classico ritratto domestico di un nucleo disfunzionale decisamente fuori dagli schemi dall’altro. Da questa doppia anima nasce un racconto per immagini, suoni e parole, che affronta con verità e senza filtri temi universali come la crescita, il disagio esistenziale, la ricerca dell’indipendenza e del proprio Io, l’amore, il conflitto generazionale e quello familiare.
Per cucire insieme i fili di questa sorta di video album dagli echi tipici della Nouvelle Vague, dove trovano spazio materiali filmici, fotografici e sonori grezzi e disparati, la Brisavoine gioca continuamente con una serie di ossimori, a cominciare dall’utilizzo simultaneo della musica rock e classica, dei toni della commedia e del dramma, della favola e dell’incubo, per finire con quello dei linguaggi del cinema di fiction e del reale, che fanno di Pauline s’arrache un’ibridazione molto simile a ciò che gli addetti ai lavori sono soliti chiamare docu-film. Questo perché sotto la superficie documentaristica scorrono sottili e invisibili trame scritte a tavolino che servono a dare di volta in volta una direzione alla narrazione. Trame che però non risultano mai invasive o manipolatorie, che non pilotano o influenzano le azioni della protagonista alterando in qualche modo il corso degli eventi, ma che sono utili a scandire le tappe di una sorta di script non dichiarato che serve a dare un ordine e una compattezza ai materiali raccolti dalla regista nel corso dei quattro anni di riprese, quelli che sanciscono il passaggio della sorellastra dall’infanzia all’età adulta.

Francesco Del Grosso

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