Miracolo meridionale
Nonostante sia nata a Trento e abbia vissuto molti anni tra l’Italia e l’estero, Rossella De Venuto non ha mai dimenticato la terra d’origine sua e della sua famiglia. Quella terra è la Puglia dove tra l’altro ha ambientato la sua opera prima, l’horror Controra – House of Shadows, e dove ha deciso di tornare per realizzare la sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo Pattini e acciaio, presentata anch’essa al 15° Bif&st nella sezione “ItaliaFilmFest/Doc”. Qui, in particolare a Giovinazzo, piccolo centro marittimo alle porte di Bari, luogo a lei caro e speciale dove sono cresciuti i suoi genitori, ha trascorso le vacanze e a cui sente di appartenere, è legata a doppio filo la straordinaria vicenda rievocata nel documentario. Quella cittadina di circa 20.000 abitanti fu protagonista negli anni Settanta, grazie alle capacità industriali di un visionario imprenditore locale, di un sorprendente miracolo sportivo a livello nazionale e internazionale. Ed è a quel miracolo, ai suoi artefici, alla cittadina e alla sua gente che la regista ha voluto dedicato il suo nuovo lavoro.
La storia al centro di Pattini e acciaio è infatti quella di un paese del sud Italia e della sua squadra di hockey su pista voluta da Michele Scianatico, presidente dello stabilimento Acciaierie Ferriere Pugliesi, polo dell’industria siderurgica sin dagli anni Venti diventata famosa nel mondo. L’allenatore è Gianni Massari, campione di pattini a rotelle, che viene assunto come capo del personale della fabbrica e animatore del settore sportivo. Nel 1973 il team AFP Giovinazzo è promosso in serie A. Da quel momento la sua scalata è inarrestabile. Con il capitano Francesco Frasca vince il campionato italiano nel 1979 e il titolo europeo nel 1980 contro il Sentmenat in una partita leggendaria, disputatasi proprio a Giovinazzo, dove ribalta un incredibile risultato iniziale. In quella squadra leggendaria di campioni faceva parte anche Pino Marzella, classe 1961, considerato uno dei giocatori di hockey su pista più forti di tutti tempi. Soprannominato “il Maradona dell’hockey”, Marzella ha vinto tutto quello che poteva vincere, inclusi due campionati del Mondo con la Nazionale italiana. Per otto anni capocannoniere e Stecca d’oro. A trent’anni smette di giocare per mancanza di motivazione e diventa allenatore. La sua storia eccezionale di campione funambolico, sanguigno e geniale, si intreccia, indissolubilmente, con quella altrettanto unica delle Acciaierie Ferriere Pugliesi che ha fatto di Giovinazzo, da sempre un borgo di contadini e pescatori, uno dei comuni del Mezzogiorno d’Italia con il più alto indice di industrializzazione negli anni Sessanta e Settanta dando lavoro a 1.200 dei suoi abitanti.
Se il polo siderurgico ha cessato ormai da anni l’attività (fallimento nel 1982) e degli impianti restano ora solamente i ruderi e il ricordo dei bei tempi che furono, la squadra bianco-verde dopo un periodo di buio e di mezze classifiche nelle categorie minori è tornata a competere nella massima serie proprio sotto la guida di Marzella. L’excursus temporale tra un glorioso passato e presente tutto da scoprire e scrivere costituisce l’arco narrativo e drammaturgico su e intorno al quale Pattini e acciaio, il cui titolo è già di suo una chiara lettera d’intenti, ruota e si sviluppa. L’autrice attinge ai temi e agli stilemi dello sport-drama per costruire un racconto di riscatto che passa attraverso un sogno diventato realtà, quello di un Davide del Sud che sfiderà e avrà la vinta sul Golia del Nord, con la mente che per analogie torna a un’altra grande epopea, quella cestitica dello Sporting Club Juvecaserta.
Nel documentario, la De Venuto mescola le vicende agonistiche e umane del team e della sua città con la biografia e gli highlights della vita e della carriera del giocatore di hockey che davanti la cinepresa racconta e si racconta. È lui il Virgilio di turno che fisicamente ed emotivamente guida lo spettatore in una narrazione che si fa corale grazie ai contributi di altri importanti testimoni oculari di quegli anni. Un racconto che nel suo impianto base e nella sua costruzione classica prende forma e sostanza appoggiandosi in maniera molto efficace e non didascalica ai preziosi materiali d’archivio video e fotografici, a inserti animati con i quali vengono rievocati episodi della giovinezza di Marzella e alle musiche trascinanti e puntuali firmate da Kekko Fornarelli. La regista tiene insieme i diversi linguaggi chiamati in causa, facendo in modo che l’uno si mettesse al servizio dell’altro per narrare e scongelare emozioni che si erano cristallizzate in un letargo dal quale questa ennesima incredibile impresa, alle nuove generazioni probabilmente sconosciuta, è potuta riemergere grazie al documentario.
Francesco Del Grosso