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Out of the Fight

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VOTO: 4.5

Il trauma dei veterani al loro rientro a casa

Jason Pate (un anonimo Randy Wayne), sergente dell’esercito americano, torna a casa dopo tre turni di servizio in Afghanistan. Come fin troppo spesso accade, il rientro dalla guerra non è per lui il momento felice che ci si potrebbe aspettare, ma l’inizio di una vita difficile, tormentata dai traumi del teatro bellico. A farne le spese, prima di tutto, è la sua vita coniugale. La moglie Emily (Jordan Jude), nonostante i suoi migliori sforzi, non riesce a tenere lontano il marito dalla bottiglia, dalle pillole e dai sempre più frequenti e immotivati scatti d’ira. Quando, durante l’ennesima lite, a rischiare l’incolumità è anche la loro figlia Savannah, di appena quattro anni, è ormai chiaro che per Jason è necessaria l’assistenza di personale specializzato. Nonostante l’aiuto del veterano di polizia Randy Mitchell (Chris Mullinax), che ben conosce la tragedia che vivono molti reduci, e nonostante Jason accetti di seguire un gruppo di sostegno per persone affette da disturbo da stress post-traumatico, potrebbe essere ormai troppo tardi per ritrovare la serenità perduta.
Il regista di questo Out of the Fight, Steve Moon, molto attivo nel campo del cinema indipendente, cerca di portare sullo schermo una tragedia sociale che silenziosamente avvelena la sconfinata provincia americana. Pur non essendo nuovo all’utilizzo di budget risicatissimi, qui la penuria di mezzi si fa sentire, eccome. A farne le spese sono soprattutto le sequenze d’azione, poche per fortuna, che riguardano gli scontri a fuoco in cui il sergente Pate viene coinvolto. Scarsissima la verosimiglianza, perfino imbarazzanti alcuni escamotage (i soldati vengono per esempio feriti o uccisi fuori campo, la telecamera li inquadra solo in un secondo momento), c’è da dire che anche le parti riguardanti il rientro in patria, il fulcro del film, non brillano. La telecamera a spalla, usata ormai ampiamente quando si tratta di dare un’idea di realismo (o quantomeno di filmato paradocumentaristico), si muove in continuazione, rendendo difficile seguire l’azione principale e diventando a volte fastidiosa per lo spettatore. In un film di questo genere, naturalmente, nessuno pretende di vedere attori di prima grandezza o momenti di recitazione memorabili, ma (forse con la parziale eccezione di Mullinax) il livello qualitativo è ovunque particolarmente basso. E certamente non aiutano dialoghi e situazioni imbottiti di cliché. Pochissimi gli interni, vista evidentemente l’impossibilità di avvalersi di scenografie degne di nota e quindi, se non all’esterno, i personaggi si muovono in abitazioni messe cortesemente a disposizione da qualcuno, in una palestra scolastica e in altri anonimi corridoi o accampamenti militari dall’aria evidentemente posticcia. A dirla tutta, anche i poliziotti che compaiono nella storia sembrano sbucare fuori dal nulla, senza neanche mai scendere da un’auto di servizio. Siamo insomma di fronte a un qualcosa evidentemente realizzato solo grazie a qualche salto mortale e a tante astuzie le quali, più che nel cinema indipendente, sembrano collocare questo Out of the Fight nell’ambito quasi amatoriale.
L’intento encomiabile di raccontare una storia drammatica, che riguarda così tanti servitori dello stato, si perde dunque in una serie di problemi che affliggono la parte produttiva della pellicola e che, purtroppo, non si riescono a nascondere vista la prestazione registica non adeguata e gli attori davvero poco convincenti.

Massimo Brigandì

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