Passato e presente
Ad Ann Hui, si sa, piacciono i drammi storici. O meglio, in qualità di orgogliosa cinese di Hong Kong qual è, nel corso della sua importante carriera ha spesso avuto modo di raccontarci la storia del suo paese con grande rispetto e riverenza, dando vita, spesso e volentieri, a lungometraggi maestosi per durata e impiego delle maestranze, i quali, in seguito alla visione, altro effetto non fanno che quello di farci sentire piccoli piccoli rispetto a un passato tanto importante per la storia mondiale. E così, a ben tre anni dal suo ultimo lavoro (The Golden Era, presentato fuori concorso come film di chiusura della 71° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia), ecco che vede la luce un’altra importante fatica. Anch’essa che vuol mostrarci un episodio centrale della storia di Hong Kong, anch’essa messa in scena alla soggettiva e singolare maniera di Ann Hui. Stiamo parlando di Our Time Will Come, importante lungometraggio presentato in anteprima italiana alla 20° edizione del Far East Film Festival di Udine.
Siamo nel 1942. I giapponesi hanno occupato militarmente Hong Kong e un gruppo di sovversivi cerca di far fuggire dal paese alcuni intellettuali, al fine di aiutarli a sottrarsi al governo nemico. Tra di loro c’è anche la giovane insegnante Fong Lan, la quale ha appena lasciato il fidanzato – schierato con l’esercito dei giapponesi, ma che collabora segretamente con la fazione di Hong Kong – si è lasciata condurre nella lotta dal ribelle Blackie Lau e ha messo a repentaglio addirittura la vita di sua madre, al fine di riuscire a perseguire il proprio scopo.
Un lavoro, dunque, che – ispirato a fatti realmente accaduti e a persone realmente esistite – già dopo una breve, sommaria lettura della sinossi riesce bene a rendere l’idea della propria importanza e della propria imponenza. La figura di questa eroina femminile, simbolo ideale della lotta della popolazione hongkonghese, ma anche degna rappresentante di tutte le protagoniste dei precedenti lungometraggi della Hui, da subito, ben scritta e ben caratterizzata, riesce a prendere in mano le redini di un intero lavoro che – fatta eccezione per qualche piccolo elemento di sceneggiatura lasciato in sospeso come, ad esempio, il rapporto tra la protagonista stessa e lo scrittore da lei ospitato – tutto sommato riesce a reggere bene la lunga durata, senza registrare cali di ritmo e alternando sapientemente momenti altamente drammatici a scene decisamente più leggere e, a loro modo, anche di quando in quando ironiche.
Tutto il resto è in pieno stile di Ann Hui: scenografie curate sin nel minimo dettaglio che ricostruiscono fedelmente una Hong Kong degli anni Quaranta, costumi ora sontuosi, ora miseri e personaggi che – grazie anche alle più che convincenti interpretazioni degli attori protagonisti – sembrano venuti fuori direttamente dal secolo scorso.
Eppure, rispetto ai precedenti lavori della cineasta, Our Time Will Come una peculiarità tutta sua ce l’ha eccome. A tal proposito, particolarmente azzeccata si è rivelata la scelta di inserire all’interno della messa in scena una sorta di cornice dal taglio documentaristico, in cui vediamo (in un rigoroso bianco e nero) uno degli allievi della protagonista raccontarci, ai giorni nostri, le incredibili vicende vissute dalla propria insegnante. Emblematica e suggestiva, dunque, la scena finale, in cui, tramite un cambio fotografico, vediamo il paesaggio degli anni Quaranta trasformarsi nella Hong Kong di oggi. Segno che la Storia, seppur lontana, si fa sentire ancora viva e pulsante oggi come in passato. Segno che la Memoria è uno dei patrimoni più preziosi di cui disponiamo e che abbiamo il dovere di salvaguardare in tutti i modi possibili.
Marina Pavido