Una notte al supermercato
Non è la prima e non sarà nemmeno l’ultima volta che un articolo pubblicato sul quotidiano di turno diventa il tessuto drammaturgico e narrativo di un film. È accaduto miliardi di volte in passato e continua ad accadere anche adesso, come nel caso di Stephan Richter che ha fatto di un episodio di cronaca nera avvenuto nel 2009 in Austria, la base del suo esordio nel lungometraggio dal titolo One of Us. Dalla lettura di quelle pagine da parte del regista di origini tedesche, che all’epoca accesero un forte dibattito nel Paese, sono passati la bellezza di sei anni. Si giunge così al 2015, anno in cui quei fatti sanguinari hanno trovato spazio in un film che ha avuto la sua premiere in quel di San Sebastián, alla quale sono seguite altre prestigiose presentazioni nel circuito internazionale (da Thessaloniki a Beijing, passando per la Viennale e la Berlinale) sino alla recente apparizione nel concorso della 17esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce.
Ispirato a eventi realmente accaduti, One of Us racconta un complesso cosmo di personaggi che vivono tra gli aridi corridoi degli scaffali dei prodotti e l’immenso parcheggio di cemento grigio di un supermercato. Tutti interagiscono con il quattordicenne Julian che, con curiosità e ingenuità, cerca l’avventura in questo mondo consumista rigidamente organizzato. Il supermercato stesso è un osservatore silenzioso, che con la sua misteriosa presenza si fa metafora di un sistema sociale globale che ha smesso di funzionare molto tempo fa ed è sempre a un passo dal tracollo definitivo. In questa unità spaziale asettica e fredda, rotta solo di rado da parentesi fugaci a bordo di un’auto, si consuma un dramma nel dramma. Il regista tedesco mette in quadro un microcosmo inospitale e anomalo, che si trasformerà ben presto in un crocevia di esistenze e in una zona franca dove in una notte come tanti si deciderà il destino di alcuni dei protagonisti. Detto dei contenuti si fa però fatica a scovare il vero cuore dello script, ossia il baricentro intorno al quale tutti e tutto dovrebbero ruotare. Questa difficoltà di identificare il motore portante è il limite più grande dell’intera operazione e la cui causa va ricercata principalmente nella fase di scrittura. In tal senso, non si capisce bene in che direzione vuole andare l’opera, se vuole essere solo il racconto più o meno federe di quanto accaduto anni fa tra i corridoi di quel maledetto supermercato, oppure l’ennesimo ritratto di una gioventù annoiata che non può fare altro che distruggersi con le proprie mani. Tale indecisione è a nostro avviso, insieme all’incapacità di creare la giusta tensione, l’autentico tallone d’Achille di One of Us.
Da parte sua Richter dimostra di avere un certo gusto nella costruzione delle immagini, alternando pregevoli inquadrature geometriche e statiche a linee chirurgiche disegnate nello spazio a disposizione con lente carrellate e pedinamenti in steady. Il tutto amplificato da un’estetica pop, con decelerazioni ritmiche che a lungo andare diventano fini a se stesse. L’abuso di certe soluzioni visive (vedi i frequenti carrelli sugli scaffali del supermercato), infatti, finisce con il depotenzializzare una confezione che sarebbe potuta essere ben più consistente. Davvero un gran peccato.
Francesco Del Grosso