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Ogni tuo respiro

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VOTO: 7

Breaking the rules

Tema sempre scivoloso, quello della disabilità fisica, da affrontare al cinema. O si tenta la carta autoriale, con una regia innovativa in grado di coinvolgere appieno lo spettatore negli abissi della malattia – pensiamo ad esempio alla realizzazione in soggettiva de Lo scafandro e la farfalla di Julian Schnabel (2007) – oppure, adottando uno stile classico, si moltiplicano fatalmente i rischi di incappare nella banalità di una storia ricattatoria e strappalacrime. Con Ogni tuo respiro, opera prima da regista di Andy Serkis, il leggendario Gollum della saga cinematografica de Il signore degli anelli ma in generale ottimo attore alquanto sottovalutato, fortunatamente non è andata così. E Serkis merita un plauso per il modo in cui, nonostante qualche comprensibile ingenuità registica comprendente alcune inquadrature in odor di preziosismo, è riuscito a mantenere sui binari di un’assoluta sobrietà la vicenda dei coniugi Cavendish, ispirata ad una storia realmente accaduta nella seconda metà del secolo scorso.
Robin e Diane sono giovani e belli. Scatta il colpo di fulmine, una volta conosciutisi. Si sposano poco dopo. Robin è un commerciante di tè spesso in viaggio per lavoro. La moglie lo accompagna in un viaggio in Kenya. A Nairobi Robin ha un forte malessere. La diagnosi è impietosa: poliomelite fulminante con paralisi quasi totale. Tornato in Inghilterra assieme a Diane viene ricoverato in ospedale e attaccato ad un respiratore artificiale, grazie al quale sopravvive. Il resto del film va visto e non raccontato.
Se l’incipit appena enunciato si colloca in una dimensione sin troppo tradizionale che non lascia soverchie speranze di originalità, Ogni tuo respiro (semplicemente Breathe, ossia Respiro, il suggestivo titolo originale) diventa man mano che procede un esemplare racconto di vita piuttosto che una deprimente ricognizione sull’esilità del confine tra vita e morte. Il lungometraggio diretto da Serkis pone sin dall’inizio questioni affatto trascurabili: in primo luogo il diritto del singolo individuo a cessare le proprie sofferenze – con il tema dell’eutanasia che tornerà ad essere preso di petto nell’epilogo – ma soprattutto il rapporto con le persone che si amano e non vogliono rassegnarsi alla perdita. La moglie, incinta al momento dell’insorgere della malattia, si prodiga con assoluta dedizione al miglioramento delle condizioni di vita di Robin, dapprima trasferendolo in una nuova casa contro il parere del direttore dell’ospedale; poi, con il decisivo supporto dei fratelli e degli amici – tra cui quello encomiabile del geniale inventore Teddy Hall, il quale metterà a punto una rivoluzionaria sedia a rotelle con respiratore incorporato – consentirà al malato un deciso salto di qualità nell’esistenza giornaliera. Così Ogni tuo respiro diviene la cronaca di una ripartenza quotidiana, con Robin ad assaporare esperienze che per altri sarebbero di routine come fossero un qualcosa di unico e irripetibile. E gli spettatori non possono che empatizzare in maniera totale con questa sorta di magnifico viaggio alla scoperta della magia di una, relativa, normalità. Dal canto suo la buona sceneggiatura firmata da William Nicholson non tralascia accenti polemici nei confronti del conservatorismo da sempre imperante in ambito medico: la visita in Germania, in un autentico formicaio di polmoni d’acciaio in cui i pazienti sono costretti a vivere, fornisce il pretesto per una sacrosanta lotta intrapresa dall’entourage di Robin verso i diritti del disabile a sostenere, anche rischiando, un’esistenza quanto più possibile aperta alle stimolazioni sensoriali. Una posizione “politica” che il film di Serkis non rifiuta affatto, in una materia ancor oggi soggetta a poco comprensibili divergenze d’opinioni e situazioni, tra chi vorrebbe nascondere malati e relative malattie ed una società affatto disponibile ad accogliere un certo tipo di istanze.
Inutile sottolineare come il talentuoso Andrew Garfield risulti efficace nel difficile ruolo di Robin, costretto a recitare con lo sguardo essendo paralizzato dalla testa in giù. Mentre la Claire Foy della premiatissima serie televisiva The Crown assolve bene la propria parte, invero un po’ prevedibile, di “moglie-coraggio”. In ogni caso valori aggiunti che si sommano al ruolo ricoperto dal figlio Jonathan, presente dentro e fuori la diegesi, come produttore di un film che possiede, a proprio vantaggio, una dose di sincerità impossibile da sottovalutare.

Daniele De Angelis

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