In sospeso
Puntini di sospensione sulla vita (e sulla morte), in questo pregevole lavoro che al Figari Film Fest è rimasto fuori dalla lista dei corti premiati (del resto il livello del concorso, quest’anno, è parso mediamente più alto rispetto alle passate edizioni), ma che ha saputo coinvolgere a livello emotivo una fetta consistente di pubblico e di addetti ai lavori.
Sospesa è anche la corda, che penzola in modo sinistro sul destino di un uomo anziano, affranto, rimasto solo nelle stanze di un appartamento dove non viene fatta filtrare più molta luce. La discesa lenta e inesorabile lungo una scala a chiocciola (ripresa esibendo un pezzo di bravura registica davvero considerevole). Un grammofono in scena, che diffonde musica nell’aria immobile. Ricordi. Assenze. E quando tutto lascerebbe presagire l’imminente tragedia… ecco la magia di un incontro inaspettato. E con esso una rinnovata necessità di confrontarsi con lo spazio esterno, che spinge il protagonista ad abbandonare la chiusura iniziale, apparentemente ineluttabile, per tornare a riflettere sui significati residuali di un’esistenza messa senza dubbio a dura prova e perciò ritenuta prematuramente agli sgoccioli.
La speranza è che queste note introduttive lascino trapelare tanto la sensibilità, che la coerenza stilistica e formale, da noi ravvisate in Nuvola: come riscontrato altre volte nel cinema di Giulio Mastromauro, giovane film-maker che sulle “brevi distanze” sa trovare una sintesi perfetta di immagini e sentimenti, la sostanziale classicità del soggetto è solamente la premessa di un’elaborazione narrativa personale, matura, compiuta. Nell’altrettanto delicato Carlo e Clara era una particolare idea di After Life, concepito per l’occasione quale metafisica sala d’aspetto, a permeare una messa in scena elegante e curata in ogni dettaglio. Complice la conferma di Dario Di Mella nel ruolo di direttore della fotografia, in Nuvola ritroviamo la stessa attenzione per gli ambienti e per la loro differente luminosità, rapportata però a un altro topos cinematografico di sicuro effetto: la metodica preparazione di un suicidio, interrotta da episodi che potrebbero rimettere in discussione tutto.
Laddove il corto di Mastromauro potrebbe sfociare nel prevedibile, intervengono la perfetta gestione dei tempi, il malinconico carisma dell’interprete principale Mimmo Cuticchio e i secchi, intensi dialoghi tra lui e un altro attore di provata bravura, Giulio Beranek, ad assicurare la giusta profondità alle situazioni descritte, tra cui si inserisce anche la misteriosa epifania di un bimbetto abbandonato sulla soglia di casa. Per veder poi condensate le varie tensioni fin lì espresse in quell’inquadratura finale, che con un filo di mesta ironia riporta tutto in sospensione. Lasciando comunque intravvedere nel protagonista una diversa e quasi rasserenata percezione del proprio percorso esistenziale.
Stefano Coccia