La normalità è un punto di vista
Uscito in sala verso metà ottobre (e quindi in un certo senso “schiacciato” da tante altre offerte, specie nella capitale dove per i cinefili duri e puri avrebbe tenuto banco la Festa del Cinema di Roma), ancora sporadicamente visibile in qualche cinema (a Modena, per esempio), Normale di Olivier Babinet è un gioiellino che vale comunque la pena recuperare.
Meritatamente insignito del titolo di Miglior Film all’ultimo Giffoni Film Festival, Normale aveva comunque beneficiato di una premiere davvero speciale, a settembre, presso la prestigiosa sede capitolina dell’Ambasciata Francese. Quella era stata anche l’occasione giusta per scambiare due parole con il giovane cineasta transalpino, originario di Strasburgo, il quale ci ha subito conquistato coi suoi modi scanzonati, l’amore trasversale per il cinema di genere e la candida ammissione d’aver vissuto un’esperienza entusiasmante, lavorando con un personaggio del calibro di Benoît Poelvoorde.
Già, Benoît Poelvoorde. L’attore belga, che abbiamo adorato in pellicole come Il cameraman e l’assassino di Rémy Belvaux e André Bonzel (1992), Dio esiste e vive a Bruxelles di Jaco Van Dormael (2015) e Inexorable di Fabrice Du Welz (2021), qui interpreta un padre che la vita ha conciato davvero male, reso vedovo da un incidente stradale e in condizioni sempre più critiche per il peggiorare della sua sclerosi multipla. Ma tutto ciò non ha intaccato di una virgola l’amore che nutre per la figlia adolescente, nei confronti della quale avverte semmai il rischio di diventare sempre più un peso.
Controparte del frizzante racconto cinematografico è per l’appunto Lucie, la giovanissima co-protagonista, impersonata da una vera e propria rivelazione come Justine Lacroix: teenager fuori dagli schemi, lei ci appare vulnerabile ma al tempo stesso tostissima, dovendo affrontare contemporaneamente la malattia del padre, i bulli a scuola, le prime difficoltose relazioni sentimentali e quei servizi sociali che incombono sulla loro vita come avvoltoi. Manco fossimo in un film di Ken Loach. E invece il film di Olivier Babinet tende comunque a prendere altre direzioni, rispetto alla critica sociale pur presente in filigrana, partendo dal reale – con le sue asperità – ma trasfigurandolo attraverso le fantasie e la scalpitante immaginazione della stessa Lucie.
Ci si perdoni il gioco di parole, ma in un certo senso Normale riscrive il concetto di normalità. Lo fa attraverso un racconto di formazione rapsodico, elettrico, in cui il regista francese ha modo di proiettare anche, in alcuni efficaci segmenti onirici, la propria passione per l’immaginario dark e orrorifico. Non sorprende quindi che in una delle tante scene tenere del film padre e figlia scherzino tra loro, proprio quando nella televisione di fronte vediamo scorrere le immagini di Zombi 2, una delle tante pietre miliari del genere firmate da Lucio Fulci.
Stefano Coccia