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Non c’è campo

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VOTO: 5

Tutta la vita in uno smartphone

Cosa accadrebbe se, di punto in bianco, i cellulari smettessero di funzionare e tutti noi restassimo isolati dal resto del mondo? Fino a che punto la nostra società è condizionata dagli smartphone, da internet e da tutto ciò che ci permette di restare connessi 24 ore su 24? Questo è ciò che si chiede Federico Moccia nel suo ultimo lungometraggio, Non c’è campo, in uscita, dopo una lunga pausa, dopo Universitari – Molto più che amici e anch’esso, così come i precedenti lavori dello scrittore/regista, incentrato sui giovani e, in particolare, sulla complicata età adolescenziale.
La professoressa Laura Basile, madre di una ragazzina adolescente e con una crisi coniugale in corso, decide di organizzare una gita di classe a Scorrano, in Salento, al fine di coinvolgere i suoi studenti in un laboratorio artistico con lo scultore Gualtiero Martelli. Non appena giunti in paese, però, i ragazzi noteranno che i loro cellulari non prendono e, di conseguenza, nessuno di loro riesce a comunicare con familiari ed amici. Dopo un primo momento di crisi, tuttavia, uno di loro scoprirà che sul tetto di un palazzo ci si riesce a connettere alla rete. L’uso limitato della tecnologia, però, influirà comunque sulla quotidianità e sulla vita di tutti loro.
Scrittore e regista bistrattato – e spesso anche deriso – da pubblico e critica, Federico Moccia, malgrado un’eccessiva ingenuità di fondo di ogni suo lavoro (letterario o cinematografico che sia), risulta tuttavia molto più onesto di molti altri cineasti del nostro paese. Partendo da questi presupposti, bisogna comunque riconoscere che un film come Non c’è campo – come spesso accade, appunto, nei film dell’autore – le sue problematiche le ha eccome.
Volendo, in qualche modo, “aggiornare” il discorso adolescenziale già abbondantemente affrontato, in questo suo ultimo lavoro, Moccia ha sviluppato temi quali l’eccessiva dipendenza dagli smarthphone e da internet, oltre, ovviamente, alla tematica queer. Peccato, però, che, in un modo o nell’altro, ciò che da anni viene messo in scena sia praticamente sempre lo stesso film: storie d’amore tra adolescenti in crisi con personaggi fortemente stereotipati e spesso privi di una necessaria indagine psicologica alle spalle. Ѐ così, ad esempio, per quanto riguarda il personaggio della ragazzina perennemente in crisi con il fidanzato lontano, così come del giovane bellimbusto che altro non fa che tradire continuamente la sua fidanzata. Stesso discorso, purtroppo, vale per il modo in cui viene messa in scena la crisi coniugale tra Laura e suo marito: al di là delle dinamiche classiche che più classiche non si può, il tutto viene successivamente risolto con trovate eccessivamente deboli e sbrigative, per un finale buonista e pericolosamente prevedibile.
Forse per un prodotto come Non c’è campo sarebbe stata più appropriata una fiction televisiva, più che per un film da sala. Ed anche la sua confezione, dal punto di vista sia registico (Moccia non osa lasciare nulla all’immaginazione dello spettatore, ma tutto deve essere tassativamente mostrato sullo schermo) che della fotografia, sembra suggerirci la stessa cosa.
Ma, d’altronde, tutto ciò era prevedibile. E, come già è stato affermato, dalla sua, un autore come Federico Moccia, ha di certo una grande ingenuità e, soprattutto, sembra tenere davvero a ciò che racconta. Diamo a Cesare quel che è di Cesare.

Marina Pavido

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