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No Place Like Home

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VOTO: 7,5

Un’anima divisa in due

Persa tra differenti storie famigliari, tra sentimenti contrastanti, tra continenti diversi. Così ci appare la protagonista di No Place Like Home, il bel documentario della norvegese Emilie Beck che al 41° Bergamo Film Meeting ha ricevuto il PREMIO MIGLIOR DOCUMENTARIO CGIL BERGAMO, ex aequo con La visita y un jardín secreto (The Visit and a Secret Garden) di Irene M. Borrego.

Giusto per fornire le coordinate essenziali, quella protagonista alla quale si alludeva in precedenza è Priyangika, giovane donna che da bambina in Sri Lanka venne prima affidata alle cure dell’Esercito della Salvezza, cui era stata portata dalla madre naturale in serie difficoltà economiche e personali, per essere poi data in adozione a una coppia di norvegesi, che in passato aveva adottato anche un altro bimbo cingalese. Nonostante l’atteggiamento affettuoso e comprensivo della sua nuova famiglia, Priyangika ha sempre pensato, sin da piccola, che ci fosse qualcosa di sbagliato nella sua adozione, nel modo in cui era stata allontanata dalle proprie origini per ritrovarsi poi trapiantata così lontano. Il documentario è quindi una appassionata ricostruzione della ricerca per trovare quei pezzi mancanti, siano essi frammenti di un’anima divisa in due, siano invece tessere di un puzzle più complesso in cui è il sistema stesso delle adozioni (lodevole in linea di principio, più che discutibile quando l’assetto sociale di determinati paesi e istituzioni favorisce procedure illegali, casi di corruzione, autentiche “tratte di bambini”) a essere messo in discussione.

Coniugando mirabilmente il versante privato della vicenda e i suoi risvolti sociali, No Place Like Home trascina lo spettatore in un viaggio tra latitudini così lontane (sia sotto il profilo geografico che sul piano culturale) del quale si percepisce sia il taglio da diario intimo, personale, sia il conseguente atto d’accusa nei confronti della superficialità con cui a livello pubblico possono essere gestite situazioni talmente delicate o anche, nei casi peggiori, verso quelle forme di sfruttamento alle quali specie nei paesi del cosiddetto “Terzo Mondo” facilmente si approda. Argomento decisamente attuale se si pensa che al giorno d’oggi la deprecabile pratica dell’utero in affitto ha prodotto, dal canto suo, devastazioni persino peggiori a livello etico e sociale.
Registicamente Emilie Beck sa accompagnare tale ricerca con uno sguardo sempre vigile, lucido, all’occorrenza complice. Filmati di famiglia e impressionistici ritagli della vita nello Sri Lanka di oggi si alternano così sullo schermo, quasi magneticamente, lasciando al pubblico gli opportuni spazi di riflessione.

Stefano Coccia

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