Tolleranza zero
Sull’onda lunga dei consensi raccolti dall’ultima fatica dietro la macchina da presa di Teemu Nikki, Il cieco che non voleva vedere Titanic, vincitore del premio del pubblico nella sezione Orizzonti Extra alla 78esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, I Wonder Pictures recupera in contemporanea per la sala e per lo streaming la pellicola precedente del cineasta finlandese, distribuendola a partire dal 14 dicembre, tre giorni dopo la presentazione in anteprima italiana nel fuori concorso del 31° Noir in Festival. Si tratta di Nimby – Not In My Back Yard, realizzato dal poliedrico e instancabile regista scandinavo nel 2020, anno in cui le note cronache pandemiche hanno impedito a molti film come questo di circolare regolarmente nei cinema e nei festival. Motivo per cui il quarto lungometraggio, salvo brevi apparizioni tra cui quella al Varsavia International Film Festival, è rimasto in ghiacciaia in attesa di tempi migliori. Nel mentre Nikki, da stacanovista qual è non è stato di certo con le mani in mano, firmando gli otto episodi della prima stagione della miniserie Mister8 e la pellicola proiettata al Lido lo scorso settembre.
Facciamo dunque un passo indietro andando a recuperare Nimby proprio in occasione della presentazione nella kermesse meneghina, laddove il cineasta scandinavo, tra i più interessanti del panorama europeo contemporaneo, amatissimo e conteso dai grandi festival, è stato graditissimo ospite. Autore sorprendente, Nikki ha lasciato sin da subito il segno tanto sulla breve (con una ricca galleria di cortometraggi, spot e videoclip) quanto sulla lunga distanza con film come 3Simo, Lovemilla e Euthanizer, spaziando tra i generi contaminandoli, mischiando horror e commedia romantica, cyperpunk e denuncia sociale. In tal senso il modus operandi non cambia, anche se la scelta in questo caso ricade principalmente sulla satira senza peli sulla lingua e sulla black-comedy. Di queste si serve per andare a girare ulteriormente il coltello nella piaga, quella sempre attuale e grondante odio dei nazionalismi, del neo-nazismo e dell’intolleranza razziale, i cui focolai nel nord Europa (e non solo) non sembrano proprio volersi spegnere, alimentandosi e divampando sempre di più. È contro questi che Nikki punta il dito, scegliendo la lama affilata e tagliente dello humour glaciale nordico per dire la sua.
Per farlo usa come specchietto delle allodole la storia di Marvi, una ragazza lesbica che vive a Helsinki insieme alla fidanzata di origini tedesco iraniane Kata. Le due si frequentano da circa un anno e mezzo, ma la loro relazione è tenuta segreta con la famiglia di Marvi, per cui decidono di andarli a trovare per uscire finalmente allo scoperto. Quando arrivano, però, si trovano nel mezzo di una tempesta sociale, fra teppisti, pastori bisessuali, attivisti, razzisti, rifugiati, alcolisti e tossicodipendenti. E per finire, irrompe sulla scena un bellicoso gruppo neonazista, del quale fa parte anche l’ex di Marvi, che costringe lei e i tutti i presente a barricarsi in casa. Il ché getta le basi per strutturare il classico accerchiamento, portando sullo schermo quello che tecnicamente rientra nel filone dell’home invasion. Al centro di Nimby c’è uno scontro tra il dentro e il fuori, con il primo che dovrà fronteggiare oltre alla minaccia esterna anche una serie di scontri fisici e soprattutto dialettici interni su temi come politica, religione, sessualità, tolleranza e accoglienza che finiscono con il complicare e non poco la situazione.
Ne viene fuori una “battaglia” su più fronti attraverso la quale l’autore, coadiuvato in fase di scrittura da Jani Pösö, firma una metafora del mondo odierno, minato da pregiudizi e da un razzismo radicato nel tessuto sociale e nelle menti, sempre più difficile da estirpare. La metafora parte sin dal titolo, con l’utilizzo dell’acronimo Not In My Back Yard (“Non nel mio cortile sul retro“) che indica la protesta da parte di membri di una comunità locale contro la realizzazione di opere pubbliche con impatto rilevante in un territorio che viene da loro avvertito come strettamente personale, ma che non si opporrebbero alla realizzazione di tali opere se in un altro luogo per loro meno importante. L’opposizione può essere motivata dal timore di effetti negativi per l’ambiente, di rischi per la salute o sicurezza degli abitanti o di una riduzione dello status del territorio. L’acronimo in questo caso non riguarda la questione ambientale, per il quale fu coniato per la prima volta negli anni Ottanta da W. Rodger dell’American Nuclear Society, ma viene preso in prestito per trattare temi altri di rilevanza sociale sui quali il confronto interno è costantemente acceso.
Purtroppo, anche se gli intenti sono chiari e nobili, la lama di Nikki questa volta non affonda come in passato quanto avrebbe dovuto e potuto, ma si ferma a metà strada. Nimby non ha infatti la medesima forza perforante che ha costantemente caratterizzato il cinema del cineasta finlandese. Qualcosa sembra frenare il colpo, impedendo alla scrittura prima e alla sua trasposizione poi di andare in profondità. L’umorismo sferra dei fendenti, ma che scalfiscono solo la superficie di una corazza tematica molto resistente, abituata a subire attacchi molto più decisi e convinti di questi. Ragione per cui il film in questione e le sue motivazioni restano cristallizzate in quella bolla del vorrei ma non posso, che sta stretto a noi quanto al suo creatore. A incidere sono più le azioni e le situazioni che le parole e in un’opera la cui architettura è sorretta principalmente da dialoghi, il peso di tale mancanza a conti fatti si fa sentire. Ciò che resta è però una performance corale davanti la macchina da presa degna di nota, che fa in modo che il final cut riesca a mantenersi sulla linea di galleggiamento della sufficienza.
Francesco Del Grosso