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Night in Paradise

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VOTO: 7

A costo della vita

Il prezzo della vita. L’importanza dei singoli momenti. Un piccolo ristorantino sul mare dove la specialità è un’ottima zuppa di pesce. Sono questi (alcuni) degli ingredienti principali del buon Night in Paradise – scoppiettante gangster-movie con anche una buona dose di lirismo al proprio interno, diretto dal coreano Park Hoon-jung e presentato Fuori Concorso alla 77° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Già, perché, di fatto, ciò davanti a cui ci troviamo vede sì un protagonista alle prese con la malavita e la faida tra gang criminali, ma anche – e soprattutto – un inno alla vita e al valore che quest’ultima riesce ad acquistare giorno per giorno. Persino quando la sua fine appare inevitabilmente vicina.
Tae-gu, dunque, è l’uomo di punta di una gang criminale che, al fine di aiutare la sorella gravemente malata e la sua nipotina, decide di ritirarsi. Ciò, tuttavia, a quanto pare, non piace a qualcuno dei piani alti e la sua famiglia, di conseguenza, viene uccisa in un incidente d’auto. Rimasto solo, Tae-gu, al fine di avere salva la vita in seguito a un’efferata vendetta, si trasferisce temporaneamente in un piccolo villaggio, dove viene ospitato da Kuto e da sua nipote Jae-yeon, anch’ella con poche aspettative di vita. Eppure, nonostante tutto, le (dis)avventure non sembrano affatto finite.
Gustoso, ben bilanciato, con una giusta dose di (spesso cattiva) ironia al proprio interno, Night in Paradise – pur mantenendo un’evidente estetica orientale sia per quanto riguarda le scene di lotta che per quanto riguarda i momenti maggiormente contemplativi – strizza volentieri l’occhio anche al cinema statunitense, soprattutto considerando alcuni personaggi. E così, più che una Black Mamba di Kill Bill, la giovanissima Jae-yeon ci sembra quasi una Shosanna di tarantiniana memoria, così apparentemente indifesa, quanto, all’occorrenza, incredibilmente spietata e disincantata.
Non ha paura, il regista, di osare, di andare oltre, di fare dell’umorismo nero che più nero non si può, scardinando vari tabù riguardanti soprattutto la morte, ma senza mai scadere nel patetico o nel già visto. Quando è il momento di sorridere si sorride. Quando è il momento di riflettere idem. Ma poi ci sono anche quei momenti in cui il sangue scorre a fiotti, in cui pugni e colpi di pistola non lasciano scampo a chiunque si trovi sotto il loro tiro. Momenti, questi, ora incredibilmente strazianti, ora persino catartici, ben giostrati da una macchina da presa che sa ogni volta su cosa concentrarsi e, soprattutto, da una scrittura in grado di cambiare registro senza che la situazione sfugga di mano.
Siamo d’accordo: all’interno della vastissima produzione cinematografica sudcoreana, il presente Night in Paradise non spicca di certo né tantomeno sta a rappresentare una sorta di eccezione. Eppure, nel suo piccolo, nella sua (quasi) perfetta confezione, funziona senza troppi intoppi e senza particolari sbavature. O, meglio ancora, riesce a fare in modo che lo spettatore possa essere clemente con tutte le forzature contenute al proprio interno. Persino nei momenti in cui – dopo una serie di pugni, calci,proiettili e coltellate varie – i personaggi sembrano ancora, incredibilmente, resistere.

Marina Pavido

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