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Nico

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VOTO: 7.5

Difesa personale

Quanto è vero quando dicono che gli ultimi saranno i primi. Ne sa qualcosa Nico, l’esordio di Eline Gehring, presentato in anteprima italiana al MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer, che proprio nella competizione della kermesse milanese è salito sul gradino più alto del podio vincendo il premio per il miglior lungometraggio della 36esima edizione. Un riconoscimento, questo, che si va ad aggiungere agli altri già raccolti nel circuito festivaliero dalla pellicola della regista tedesca e dalla sua interprete principale Sara Fazilat, protagonista di una performance intensa e toccante che ha fatto salire l’asticella qualitativa e con essa la temperatura emotiva dell’opera. È lei a vestire i panni di Nico, una ragazza sicura di sé di origine iraniana che ha fiducia negli altri e ama il suo lavoro di infermiera geriatrica a Berlino. Quando subisce una brutale aggressione razzista che distrugge la sua autostima e altera la sua vita quotidiana, tutto il suo mondo cambia, Nico si isola, si allontana dalla propria vita sociale, inizia un corso di autodifesa che la strema. Solo l’incontro con la giostraia immigrata irregolare macedone Ronny, fatto di gentilezza e cura, potrà, forse, cambiare il suo stato d’animo.
La Gehring firma una storia che punta con decisione il dito contro il razzismo e la violenza xenofoba. Lo fa condannando senza se e senza ma attraverso con un ritratto lucido e disincantato dei conflitti che animano le nostre città e della forza personale che serve per superarli. La stessa forza che la protagonista trova dentro di sé, ma solo dopo avere “combattuto” i fantasmi, le paure e i traumi affiorati nella sua mente dopo l’aggressione da parte di un gruppo di estremisti sotto un tunnel al ritorno da una festa.
Nico è la cronaca fisica e psicologica di questa risalita dall’abisso, quello della solitudine e della depressione. Un limbo dalla quale l’infermiera geriatrica tedesco-iraniana riuscirà con non poche difficoltà a risalire, potendo contare sulla sua forza interiore ritrovata e il supporto morale degli affetti e anche di un maestro di karate che le insegnerà l’autodifesa e a credere nuovamente in se stessa. Un messaggio semplice e diretto, che l’autrice ha saputo non banalizzare mantenendo un approccio e un tratto leggero che non fa mai rima con superficiale. Ad aiutarla l’interpretazione della Fazilat, sempre misurata e in sintonia con le oscillazioni emotive del personaggio che le è stato affidato. Una figura alla quale la macchina da presa della Gehring offre sempre una centralità, pedinandola da mattina a sera e assecondandone gli stati d’animo come quelli del disagio e della paura quando la donna si trova a passare nella zona dove ha subito la brutale aggressione.

Francesco Del Grosso

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