Va dove ti porta il mare
La complessità della situazione in Siria rende per forza di cose ardua la narrazione audiovisiva del conflitto in atto, la cui chiusura delle ostilità tra le molteplici parti chiamate in causa appare ancora molto distante. Motivo per cui il mondo del cinema, attraverso un linguaggio e un taglio in gran parte documentaristico e fortemente ancorato alla realtà, ha deciso di puntare il proprio obiettivo più che altro sulle conseguenze drammatiche che si riflettono sulla popolazione civile. Il risultato è una filmografia nella quale hanno trovato e stanno trovando posto pellicole focalizzate su questo aspetto, sulle ricadute e sulle cicatrici che hanno segnato e stanno segnando in maniera indelebile il martoriato popolo siriano, costringendo in molti a fuggire da quella terra insanguinata per cercare di trovare rifugio altrove. Tuttavia, pur mantenendo l’attenzione rivolta alla guerra, vi sono delle opere che sono riuscite ad andare oltre, allargando i rispettivi orizzonti narrativi, drammaturgici e tematici. Tra queste figurano Insyriated di Philippe Van Leeuw, un claustrofobico dramma a porte chiuse incentrato su una famiglia di Damasco che si ritrova barricata in casa a causa della presenza di un cecchino, e il più recente Nezouh – Il buco nel cielo di Soudade Kaadan, che si snoda attorno a una famiglia che decide di rimanere nella zona assediata di Damasco nonostante un raid aereo abbia in parte smembrato l’appartamento che la ospita.
Il nuovo film della cineasta siriana, già autrice della pluridecorata opera prima prima Il giorno che ho perso la mia ombra, è ambientato anch’esso in quel di Damasco durante la guerra civile, dove ogni giorno le bombe e gli attacchi di guerriglia mettono a ferro e fuoco la città. Vincitrice del Premio degli Spettatori – Armany Beauty alla Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia 2022, dove è stata selezionata nella sezione “Orizzonti Extra”, e del Premio Diritti Umani Amnesty International alla 28esima edizione del MedFilm Festival, la pellicola ci porta al seguito dall’adolescente Zeina (l’esordiente Hala Zein) e dei genitori Hala e Mutaz (interpretati rispettivamente dalle star del cinema arabo Kinda Allousch e Samir al-Masri) che proprio a causa di una granata che ha devastato la loro casa si trovano a dover prendere una decisione importantissima: restare o lasciarsi tutto alle spalle per iniziare una vita da rifugiati. Ma mentre Mutaz si dimostra ostinatamente deciso a rimanere dov’è, cercando di nascondere le voragini, sia sua moglie che la figlia quattordicenne sono desiderose di scappare, come ha già fatto una delle sorelle di Zeina, rifugiatasi in Europa. Là fuori c’è la speranza di un mondo diverso e Zeina ne è attratta grazie anche alla corda lanciata giù per il buco dal giovane vicino Amer.
Per scoprire se i protagonisti decideranno di restare o partire non vi resta che guardare questo piccolo gioiellino, che dopo aver preso parte a vari festival in tutto il mondo arriverà finalmente nelle sale nostrane a partire dal 12 gennaio 2023 grazie a Officine UBU. Un primo indizio arriva dal titolo che in arabo significa appunto “spostamento di acqua, persone e cose”. Dove questo spostamento sta proprio nella decisione del trio di lasciare o no la casa e con essa la loro terra natia. Per raccontare questa dolorosa scelta, la Kaadan si affida ai toni di una favola dolceamara che si fonde mirabilmente con quelli del dramma della vita reale nel mezzo del conflitto siriano. Come La vita è bella o Jojo Rabbit, anche in Nezouh l’orrore della guerra è onnipresente sullo sfondo, con le macerie davanti agli occhi, i morti fuori campo e il rumore dei bombardamenti che giungono da lontano a ricordarci dove siamo e cosa sta accadendo. Tutto ciò riporta a un realismo magico che spalanca le porte a un racconto universale che va oltre il dramma bellico.
Il film, infatti, non punta solo il dito contro la guerra, ma si scaglia a suo modo anche contro il maschilismo e il patriarcato imperanti nella società siriana e non solo. Il ché fa di Nezouh un forte e coinvolgente racconto allegorico di emancipazione femminile che si mescola con i capitoli di una storia di formazione adolescenziale nascosta sotto le spoglie dolorose di una testimonianza sulla situazione in Siria. Ne viene fuori un’opera emotivamente trascinante, che tocca le corde del cuore sfiorandole con autentici lampi di poesia e lirismo che spazzano via la spettacolarizzazione gratuita del dolore.
Francesco Del Grosso